L’essere troppo “realistici” in amore può essere una difesa e un’illusione. Ce ne parla lo psicoanalista e filosofo Umberto Galimberti.
«Il nostro desiderio di sicurezza e la nostra sete di passione ci spingono in direzioni opposte.
Qualsiasi eccitazione idealizzante, infatti, mette l’amante in pericolo, perché l’idealizzazione può non essere ricambiata, l’amore può non essere corrisposto.
E allora si troncano gli amori sul nascere, non perché l’idealizzazione viene meno a contatto con la realtà e la familiarità, ma per non dipendere da una idealizzazione appassionata che può mettere a rischio la sicurezza e la prevedibilità di cui in una relazione sentiamo il bisogno.

Le caratteristiche adorate dell’altra persona possono anche non essere affatto illusorie, ma siccome perdere chi è “unico al mondo” è molto più doloroso che perdere uno qualsiasi, dall’idealizzazione di solito ci si difende o troncando la relazione dopo il primo incontro, o aggrappandosi alle imperfezioni e ai difetti della persona amata per tenere a bada la fascinazione.
Meglio spegnere subito una stella o offuscarne la luce, piuttosto che correre il rischio che quella stella non splenda per noi. Brividi si, ma brividi sicuri.
Quando cerchiamo di assicurarci una certa stabilità degradando le idealizzazioni, diciamo di noi che siamo più saggi e ne sappiamo di più. Ma non è assolutamente certo che il terreno stabile che cerchiamo con il nostro “sano realismo” sia più reale delle idealizzazioni che incendiano le nostre passioni. In realtà quel terreno è solo selezionato per scopi diversi, di solito di natura difensiva, per eludere la delusione.

Ma evitando il rischio della delusione (…) si evita anche di costruire e trasformare la realtà. […] Amore non è una condizione passiva, ma una costruzione attiva che trasforma una realtà per sé insignificante in una fascinazione, grazie a quell’idealizzazione che l’amore vuole realizzare.
Perché amore è innanzitutto ‘attiva creazione’ e non ‘passiva soddisfazione’.
Capaci d’amore non sono mai coloro che stanno in attesa dell’incontro della loro vita, ma coloro che lo creano trasformando il reale secondo il proprio ideale. […]
Attenti dunque al “sano realismo”. Come dice Wallace Stevens, esso è l’ultima illusione che costruiamo per difenderci anticipatamente dalla disillusione. Ma in queste regioni, abitate dalla prudenza scambiata per “esame di realtà”, non è dato incontrare le case d’Amore.» (Umberto Galimberti – Le cose dell’amore, Feltrinelli 2004, p.75)

FINE.