Jung presentava al paziente principalmente un incontro con la verità, infatti non era raro che proponendo come setting la sua stessa persona e quindi dei parametri dinamici del tutto inaspettati per il paziente, lo stesso paziente divenisse autore della catarsi della stessa sconvolgente verità.
Molti sono gli esempi, che Michel Conforti riporta, di come Jung in un rapporto ambiguo tra il professionale e il personale riuscisse in un’interpretazione accuratissima ad indagare e ad investigare tra le immagini del sogno e quell’espressioni tanto vicine quanto affascinanti e peculiari del veggente.
Oggi semmai si potesse fare un confronto tra il beneficio di una prima seduta così anticonvenzionale e quella classica, sarebbe difficile poter anche solo minimamente immaginare la pervicacia e profonda intuizione che dal sogno potrebbero condurre il paziente alla propria verità inconscia.
Il terzo sogno riportato da Jung riguarda un medico che richiedeva il percorso terapeutico a Jung solamente per divenire analista.
Jung si concentrò su un’immagine ben precisa del sogno, ovvero quella in cui un bambino “idiota” si imbrattava con le feci. Al di fuori delle classiche linee associative, quello che fece di Jung un soggetto ai limiti del parossistico fu l’intuizione del nucleo psicotico del paziente e la capacità di Jung, alla sola terza seduta, di persuaderlo dal divenire analista interrompendo il trattamento.Sono tante le interpretazioni più o meno consone sul fatto che Jung con tale certezza e determinazione arrivasse a esautorare in così pochi incontri tutta l’indagine inconscia, ma dobbiamo anche tenere presente il vissuto che oggi definiremmo sociopatico dello psicanalista svizzero. La subordinazione dal padre, in seguito da Freud sono solo due degli esempi di come Jung tra il confronto del materiale inconscio, e le sue spinte, e l’opportunità e la congruità di un comportamento apparentemente a suo vantaggio, abbia sempre dato voce a quell’intensa implicazione emotiva che non sapeva trattenere e che in Jung si spiegava come un complesso terapeutico che portava i pazienti fuori una strada regia ma all’interno di quella risonanza empatica che come dicevamo prima riusciva a produrre processi sequenziali di dinamiche paziente-analista che si configuravano e verificavano simultaneamente nella spiegazione e interpretazione del territorio interno e del senso del sogno del paziente. Esistono molte ragioni per cui gli analisti rifiutano di ascoltare le fonti archetipiche per sedersi nei sicuri setting analitici, primo fra tutti la paura che l’analista possa essere vissuto come mago. Michel Conforti dopo averci citato Guggenbuhl-Craig in “Al di sopra del malato e della malattia” a contrapposizione della singolarità di Jung, apre un indiretto interrogativo che personalmente trovo attuale e provocatorio più di quanto sottilmente scritto: ” dobbiamo ricordarci che i pazienti dimostrano un’estrema sensibilità al setting analitico. Ricerche lo danno come fatto inequivocabile, e per questo motivo l’interesse per le percezioni e le esperienze inconsce del paziente e’ una parte necessaria e vitale del rapporto analitico”. Io aggiungerei, per rispondere alla sottile e indiretta domanda di Conforti, che solo un’inconscio coraggioso e che abbia come unico letto del fiume la corrente dell’investigazione pura dell’inconscio può vivere in quel senso chiamato ‘lettura ermeneutica’ ovvero analisi.
Conforti sottolinea come negli ultimi 50 anni il concetto o l’idea di archetipo e del rapporto terapeuta-paziente affrontato in termini di dinamiche interpersonali, abbia invece configurato delle vere e proprie correlazioni sulle recenti teorie biologiche.
Il processo terapeutico e’ passibile delle stesse domande che gravitano intorno allo sviluppo delle scienze biologiche e fisiche.
La teoria di Sheldrake della causalità formativa ha in realtà lo stesso presupposto che Jung proponeva quando parlava di materiale morfogenetico, ovvero di quel materiale che prende forma e sostanza ogni qual volta si instauri un modello di risonanza al di fuori delle categorie di spazio e tempo.
Si ipotizza l’esistenza di un campo morfogenetico poiché il prodotto finale di qualsiasi forma di vita che appare, che vive e si sviluppa, ha una codificazione che non nasce sul momento, ma con tutta la sua storia si manifesta in una nuova forma solo ed esclusivamente per una concomitanza di ulteriori storie e variabili che danno il via a processi tanto ricchi di ipotesi di sviluppo quanto ricchi di memorie collettive ( es. DNA).
È palese l’analogia tra i postulati junghiani dell’inconscio collettivo e dei suoi potenziali con la plasmabilita’ delle forme individuali e quanto appena su scritto.
La psiche sia del paziente che del terapeuta e’ sintonizzata su un modello di risonanza che in un certo qual modo impone il tipo di rapporto e che solo con quel tipo di rapporto si corona in un successo, in un nesso formativo del tutto causalistico per merito di variabili del tutto imponderabili.
Anche le particelle elementari e la teoria del campo quantistico vengono a conferma della realtà del campo terapeutico poiché “soltanto i campi sono reali” . Sono loro la sostanza dell’universo e non la materia. “La materia (le particelle) e’ semplicemente la manifestazione momentanea di campi che interagiscono, i quali intangibili e immateriali quali sono, sono le uniche cose reali dell’universo”. [Zukav p.219.]
Tutto ciò serve unicamente a dare un’indicazione non solo per chi vede nella conferma scientifica la base per poter credere ad un sistema psicoterapico sulla base dei modelli di risonanza, ma soprattutto per offrire dei parametri di base della terapia che, a mio parere e chiaramente con l’avallo del ben più eminente Conforti, pone l’idea che il contro-transfert vada a leggere quelle libere idee che in terapia pongono in essere dei fenomeni apparentemente telepatici ma che in realtà sono solo condizioni inconsce di risonanza e di sintonizzazione nella continuità dello spazio e del tempo in cui il fatto stesso che avvenga in un campo morfogenetico, d’inconscio collettivo e di comunione di inconsci individuali, produce quel sapere così distante dalla normale nozione acquisita.
Conforti offre una bellissima metafora quando sostiene che il rapporto della psiche del paziente con quella del terapeuta è assai simile a quella dell’embrione con l’utero: ovvero, quando la psiche del paziente si impianta nel campo del terapeuta e si sviluppa come in un utero.
Paolo Pozzetti – Psicologo