E così la psicoanalisi non fu più la stessa: la rivoluzione di Jung

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La psicoanalisi e le psicoterapie, sia in ambito clinico che di ricerca, furono totalmente rivoluzionate dallo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung. Così ci riporta la storiografia dei due più grandi storici della psicologia: Ellenberger e Sonu Shamdasani. 

(a cura di Emanuele Casale)

Lo stato di identità inconscia è inoltre la ragione per cui un analista può aiutare il proprio paziente soltanto fino al punto in cui è arrivato lui stesso e non un solo passo di più. (C.G.Jung – La Psicologia del Kundalini Yoga, Seminario tenuto nel 1932, Bollati Boringhieri, p.167)

«Fin dai suoi esordi, sul finire del XIX secolo, la psicoterapia moderna si era occupata in primo luogo della cura di quelli che allora erano chiamati disturbi nervosi funzionali e che in seguito sarebbero divenuti noti come nevrosi.

A partire dagli anni della prima guerra mondiale Jung rifondò la pratica della psicoterapia, riformulandone gli scopi e i metodi sulla base delle proprie esperienze: non più esclusivamente incentrata sul trattamento della psicopatologia, essa era diretta a determinare uno sviluppo più elevato dell’individuo, favorendo il processo d’individuazione.📝»
(Introduzione al Liber Novus di Jung, di Sonu Shamdasani)

Che cos'è la psicoterapia (Jung)
Che cos’è la psicoterapia? (Jung)

«Le diverse dottrine pisocoterapeutiche non hanno poi grande importanza. Ogni psicoterapeuta capace sfiora anche tutti quei registri che non fanno parte della sua teoria.»
(Jung)

«L’inconscio è prima di tutto. È la materia prima, sempre vivente e attiva, di cui siamo fatti e da cui noi siamo usciti. Per questa inversione di punto di vista circa il rapporto con l’inconscio, il pensiero e la pratica clinica Junghiana hanno operato una rivoluzione copernicana nel campo della psicoanalisi.»
(Manuale di Psicologia Junghiana – Christian Gaillard, p.21)

«Non tutto si può né si deve guarire (…) Non si può strappare la gente al proprio destino, così come in medicina non si può guarire un malato sé la natura vuol farlo morire.» (C.G.Jung)

«Lo scopo della psicoterapia non deve essere troppo definito: è l’esperienza a decidere in merito. Nessuna ricetta si addice a tutti.»
(C.G.Jung)

«Spesso mi vengono chiesti chiarimenti circa il mio metodo analitico e psicoterapeutico. Non posso rispondere in modo univoco: la terapia è diversa per ogni caso.

Quando un medico mi dice che segue rigorosamente questo o quel metodo, ho i miei dubbi sull’efficacia della sua terapia.

È stato scritto tanto sulla resistenza che oppone il malato, da far sembrare quasi che il medico voglia tentare di imporgli qualcosa, mentre la cura dovrebbe provenire spontaneamente dal malato stesso».
(C.G.Jung – Appunti del Seminario tenuto nel 1925)

[ 📝 Può interessarti sullo stesso argomento questo: Conoscere Carl Gustav Jung. 7 libri su Jung fondamentali per cominciare ]

Psicologia Analitica Clinica
Psicologia analitica. La teoria della clinica (Luigi Aversa)

« (…) Trovo quindi sempre divertente quando coscienziosi medici alla moda asseriscono di praticare secondo “Adler”, “Kunkel”, “Freud” o perfino “Jung”. Non c’è e non può semplicemente esserci una cosa del genere, e, anche se potesse, si sarebbe sulla strada che porta con più certezza al fallimento.»
(C.G.Jung – Psicologia analitica e educazione. Opere Vol. XVII, p.111)

«Scrive Jung: ”Ogni rimedio è giusto non per quella nevrosi ma per quella persona.” E’ implicito in queste parole lo spostamento dell’attenzione dai sintomi, intesi come disturbi da eliminare, alla personalità come realtà umana da accompagnare in un processo di trasformazione. Di conseguenza, egli scrisse una volta polemicamente che in psicoterapia la diagnosi è un fatto irrilevante, “giacchè col dare un nome non si arriva a niente (…) La vera diagnosi non è basata sui sintomi”.»
(Augusto Romano, in “Carl Gustav Jung a Eranos 1933-1952” – Antigone Edizioni, p.155)

Libri psicologia junghiana
Manuale di psicologia junghiana. Orientamenti contemporanei. Teoria, Pratica, Applicazioni

Ma cos’è che Jung ha cambiato in pratica? (e anche in teoria)

«Esistono soltanto casi individuali (…) al punto che, in sostanza, non si può mai sapere in anticipo quale via prenderà ciascuno di essi; quindi la cosa migliore che possa fare il terapeuta è rinunciare a ogni idea preconcetta.» (C.G.Jung)

Ce ne parla Augusto Romano, in questo suo memorabile stralcio:

«Vorrei ora concludere sottolineando il tratto più caratteristico, e fortemente anticipatore, della psicoterapia junghiana: il coinvolgimento del terapeuta nella relazione analitica.

(…) Relativismo epistemologico, maggiore importanza attribuita alla verità individuale rispetto alla verità delle teorie, attenzione al qui e ora dell’esperienza, disponibilità ad accettare tutti i possibili esisti della terapia: sono queste le premesse in cui trova fondamento la trasformazione della terapia in un percorso a due dentro quel labirinto che noi siamo a noi stessi.

Come si vede, siamo lontani dalla ben nota “regola dello specchio” enunciata da Freud:

“Il medico deve essere opaco per l’analizzato e, come la lastra di uno specchio, mostrargli solo quello che gli viene mostrato.”

Psicologia Junghiana Carl Gustav Jung

Era questo un espediente apotropaico, fortemente ancorato a un’idea dell’analisi come conoscenza “scientifica” e dell’analista come storico che, utilizzando gli sparsi indizi, ricostruisce la catena deterministica degli eventi che collegano il presente con il passato più remoto.

Con Jung, è lo stesso concetto di analisi che cambia. Per Freud, la parola “analisi” andava intesa nel senso che le attribuisce la chimica, cioè come separazione degli elementi che costituiscono la realtà psichica e messa in evidenza dei loro caratteri originari.

Diverso è l’approccio di Jung. Non abbiamo più un “composto chimico” da analizzare ma una relazione tra due persone che interagiscono.

Riprendendo la metafora chimica, Jung scrive che il rapporto tra terapeuta e paziente è “come la mescolanza di due sostanze chimiche: un legame può trasformarle entrambe”.

Nella concezione junghiana, il rapporto tra analista e paziente è dunque assolutamente centrale.

Rispetto alla tecnica, più importante è la personalità del terapeuta. Scrive Jung:

Ogni psicoterapeuta non ha soltanto il suo metodo; è egli stesso quel metodo.

O anche:

In psicoterapia il grande fattore di guarigione è la personalità del terapeuta, ed essa non è data priori, non è uno schema dottrinario, ma rappresenta il massimo risultato da lui raggiunto.” Ne segue che “ogni trattamento destinato a penetrare nel profondo consiste almeno per metà dell’autoesame del terapeuta: egli infatti può sistemare, riordinare nel paziente quello che ordina in sé.”

Jung e i neo junghiani Andrew Samuels
Jung e i neo-junghiani (A.Samuels)

In conclusione, condizione della terapia è la costituzione di uno spazio interattivo, dialogico, cioè di un rapporto in cui il terapeuta è implicato allo stesso modo del paziente.

Non è un male – scrive Jung – se egli si sente colpito, colto in fallo dal paziente: può guarire gli altri nella misura in cui è ferito egli stesso.

Questo mutuo coinvolgimento è, per il terapeuta, sia una obbligazione etica, sia una condizione di efficacia.

Il terapeuta non può cercare di eludere le proprie difficoltà curando quelle degli altri, come se egli non avesse problemi.

Questa riduzione al minimo delle difese non esclude l’elaborazione di possibili strategie; esclude però che le strategie siano elaborate a fini difensivi. (…)

Jung è stato il grande promotore del passaggio dal passato (la ricerca delle cause) al presente, dalla interpretazione alla relazione, dal conoscitivo all’affettivo, dall’analista specchio al riconoscimento dei suoi moti affettivi.

Dall’immagine del guaritore senza ferite, anzi dell’asettico chirurgo, siamo passati a quella del guaritore ferito, che usa le proprie ferite per entrare in contatto con il paziente.»

(Estratto di Augusto Romano, in “Carl Gustav Jung a Eranos 1933-1952” – Antigone Edizioni, p.157-8)

 

La psicoanalisi e la psicoterapia sono “relazionali”. Il paradigma dell’intersoggettività in Freud e inaugurato con Jung

Freud e Jung
Freud e Jung

Ci scrive Alessandro Raggi (psicoterapeuta junghiano) nel suo ultimo e recente libro scritto a più mani Le nuove sfide della psicoanalisi :

«Per riconoscere nella psicoanalisi l’apertura verso gli aspetti relazionali non occorre attendere il pensiero di Winnicott o della Klein a differenza ci ciò che afferma Imbasciati: basterebbe leggere attentamente Freud e Jung. Più precisamente, già in “Lutto e melanconia” (Freud, 1915) vi è la ghianda che diventerà la quercia che sarà poi chiamata “teoria delle relazioni oggettuali”.

Le teorie relazionali ci parlano di un mondo fatto di Sé e Altro-da-Sé, di personaggi interiorizzati, di relazioni con altri fantasmatici non solo di relazioni con altri in carne ed ossa.

Le nuove sfide della psicoanalisi (Alessandro Raggi)
Le nuove sfide della psicoanalisi (A. Raggi & M.C.Butti)

La visione freudiana era già nel 1915 indirizzata verso la possibilità di una differenziazione tra lutto e melanconia nei termini di una relazione con l’oggetto (interno ed esterno), sana o patologica che fosse.

Il nuovo modello della mente delle cosiddette “relazioni oggettuali”, sviluppatosi nell’ambito delle prospettive relazionali, era già in nuce nell’opera di Freud: questi riteneva difatti possibile il difendersi dal dolore psicologico attraverso la sostituzione della relazione con un oggetto esterno, con la relazione verso un oggetto inconscio, fantasmatico, interno. (…)

Come fa notare Ogden (2005), a volte, in psicoanalisi può risultare puro artifizio domandarsi “di chi è stata l’idea”soprattutto perché la maggior parte delle idee, ahimé, erano già pontenzialmente espresse nelle opere di Freud e Jung, non superati per la psicoanalisi, tanto quanto Newton o Galileo per la Fisica, oppure Giotto e Michelangelo per l’arte.

Quella che in sostanza a molti è sembrata una rivoluzione copernicana nei paradigmi classici della psicoanalisi, ovvero l’avvento della prospettiva intersoggettiva, era in realtà un potenziale già presente.

Come ha ben mostrato Silvia Montefoschi, è però proprio Jung che apre definitivamente, in maniera sin troppo dirompente per l’orizzonte dell’epoca, la psicoanalisi all’idea di una mente intersoggettiva.

Psicoanalisi moderna Jung sviluppi
Psicologia analitica. Prospettive contemporanee di analisi junghiana

Gli aspetti di relazione e socialità (si pensi a Fromm), con i quali si cimenterà la psicoanalisi di matrice “freudiana” degli anni ’60, non si spingevano alle soglie del pensiero sull’inconscio collettivo sulle quali si soffermò Jung più di quarant’anni prima.

In Mysterium Coniunctionis (Jung, 1955/56) vi è la prima ipotesi eco-biopsicologica del mentale (Frigoli et al., 2011). L’inconscio, in Jung, assumeva già allora una prospettiva sociale.

Come ebbe adire lo stesso Ogden, parafrasando Bion, sarà pur vero che “la psicoanalisi prima di Freud era un pensiero senza pensatore”, ma nel nostro caso, Jung aveva comprovatamente già pensato molti dei pensieri della prospettiva intersoggettiva.

Per queste ragioni ha decisamente senso, invece, cercare di comprendere “di chi è stata l’idea”, dato che proprio nella prospettiva culturale della teoria junghiana troviamo già tutti gli elementi per un approccio all’Altro, alla relazione, alla mente transpersonale (Comelli, 2010), alla Self Disclosure, alla reverie di Bion, al talking as a dreaming o alle trasformazioni in sogni di Ogden, al dreaming ensemble di Grotstein (2007), ovvero, il contemplare quale elemento trasformativo per la psiche del soggetto, tutti gli aspetti dell’onirico presenti sia nel sogno che nello stato di veglia.

FINE.


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4 Commenti

  1. Sono un’appassionata della psicologia in genere e la mia conoscenza e esperienza personale mi hanno portato a interessarmi in modo sempre più profondo a Carl Gustav Jung, ne sono letteralmente affascinata
    Grazie delle condivisioni ,sono risuonanti
    Roberta

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