I più grandi problemi della vita sono irrisolvibili, ma superabili. “Lasciare accadere”, la strada indicata da Jung

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Come superare i problemi
Dipinto di Edward Hopper

Dovremmo veramente cercare di risolvere alcuni problemi, con attivo impegno e a tutti i costi, con la volontà?

Abbiamo già trattato in un altro post di come il falso mito del “volere è potere” 📝 può spesso essere dannoso e del tutto inutile per risolvere alcune problematiche interiori, vitali o situazioni problematiche “esterne”.

Sicuramente ogni caso è a se, diverso, e come ben ci ricorda Jung

non c’è ricetta di vita che vada bene per tutti.

Ma ciononostante c’è un grande insegnamento che Jung, attraverso la sua pratica clinica, la sua vita e la sua saggezza, ci indica…

È un insegnamento in realtà molto antico (ma cosa di veramente saggio non è anche antico?), “semplicissimo”, eppure proprio per questo assolutamente arduo, lontano dal nostro modo di fare odierno tutt’altro che “semplice”.

Vediamo di che si tratta…

BUONA LETTURA!

Il cambiamento (Wayne W. Dyer)
Il cambiamento (Wayne W. Dyer)

Tratto dal magnifico libro-commento di Jung Il segreto del Fiore d’Oro

✴   ✴   ✴

Ho sempre lavorato con la convinzione, dettata dal mio temperamento, che in fondo non ci sono problemi insolubili.

E l’esperienza mi ha dato ragione, perché molto spesso ho visto quanto facilmente alcuni individui superavano un problema nel quale altri fallivano completamente.

Questo “superamento”, come lo chiamai in passato, risultava – come mi rivelò la mia esperienza successiva – da un innalzamento del livello della coscienza.

Quando cioè nell’orizzonte del paziente compariva un qualsiasi interesse più elevato e più ampio, il problema insolubile perdeva tutta la sua urgenza grazie a questo ampliamento delle sue vedute.

Non veniva dunque risolto in modo logico, per sé stesso, ma sbiadiva difronte a un nuovo e più forte orientamento dell’esistenza.

Non veniva rimosso e reso inconscio, ma appariva semplicemente sotto un’altra luce, e diventava così realmente diverso.

Il segreto del fiore d'oro. Un libro di vita cinese. (Jung e R. Wilhelm)
Il segreto del fiore d’oro. Un libro di vita cinese. (Jung e R. Wilhelm)

Ciò che a un livello inferiore avrebbe dato adito ai conflitti più selvaggi e a paurose tempeste affettive, appariva ora, considerato dal livello più elevato della personalità, come un temporale nella valle visto dall’alto della cima di un monte.

Con ciò non si toglie alla bufera nulla della sua realtà, ma non le si sta più dentro, bensì al di sopra.

Dato però che noi siamo, in senso psichico, nello stesso tempo valle e monte, sembra inverosimile che ci si possa proiettare oltre l’umano.

È vero che, quando proviamo un affetto, ne siamo sconvolti e tormentati, ma nello stesso tempo è anche presente, in modo percettibile, una più alta consapevolezza, che ci impedisce di identificarci con quello stato affettivo, una consapevolezza che considera quell’affetto come oggetto, e che può dire: “Io so di soffrire.”

📝 LEGGI ANCHE: L’arte di lasciare accadere la vita, di agire senza agire, nelle relazioni e con se stessi

Conflitti interiori Homer

[…] Di tanto in tanto capitavano, nella mia pratica terapeutica, eventi di questo tipo, e cioè che un paziente riuscisse a superare sé stesso grazie a potenzialità a lui sconosciute; ciò costituì per me l’esperienza più preziosa.

Nel frattempo avevo infatti imparato che i problemi più grandi e importanti della vita sono, in fondo, tutti insolubili; e non possono non esserlo, perché esprimono la necessaria polarità inerente a ogni sistema di autoregolazione.

Essi dunque non potranno mai essere risolti, ma soltanto superati.

Perciò mi chiesi se questa possibilità del superamento, e cioè di un ulteriore sviluppo psichico, non costituisse in genere il fatto normale, e se quindi il fatto patologico non consistesse proprio nel rimanere bloccati dentro o davanti a un conflitto.

Ogni individuo dovrebbe possedere, perlomeno potenzialmente, questo livello più alto, e poter dunque, in condizioni favorevoli, sviluppare tale possibilità.

La via dello zen (Alan Watts)
 La via dello zen (Alan Watts)

Nell’osservare il processo di sviluppo dei pazienti che tacitamente, quasi senza rendersene conto, erano riusciti a superare sé stessi, vedevo che i loro destini avevano tutti un elemento comune, in quanto il nuovo giungeva loro dalla sfera delle potenzialità nascoste, o dall’esterno o dall’interno.

Essi lo accettavano e crescevano con il suo aiuto.

Mi parve tipico che gli uni lo ricevessero dall’esterno, e gli altri dall’interno, o meglio che negli uni esso si sviluppasse dall’esterno e negli altri dall’interno, pur non essendo mai il nuovo cosa soltanto esterna o soltanto interna.

Se proveniva da fuori, diventava una profonda esperienza interiore; se invece proveniva dall’interno si trasformava in evento esterno.

In nessun caso però era stato procurato intenzionalmente e consciamente, ma sembrava piuttosto essere generato dal fluire del tempo. […]

Leggerezza Libertà risolvere problemi grovigli lasciar andare

Che cosa hanno fatto dunque questi individui per provocare questo processo risolutivo?

Per quanto ho potuto vedere io, non hanno fatto proprio nulla (wu-wei = agire senza agire), ma hanno lasciato accadere, come insegna il maestro Lu-Tzu, poiché la luce circola secondo le sue leggi, se non si abbandonano le proprie abituali occupazioni.

Il lasciar agire, il fare nel non fare, l’abbandonarsi del Maestro Eckhart è diventato per me la chiave che dischiude la porta verso la via: bisogna essere psichicamente in grado di lasciar accadere.

Questa è per noi una vera arte, che quasi nessuno conosce.

La coscienza interviene continuamente ad aiutare, correggere e negare, e in ogni caso non è capace di lasciare che il processo psichico si svolga indisturbato.

Il compito sarebbe di per sé abbastanza semplice (se la semplicità non fosse la cosa più difficile!)
(C.G.Jung – “Il segreto del Fiore d’Oro”, Bollati Boringhieri, pp.37-38-39)

Il Tao. La via dell'acqua che scorre (Alan Watts)
Il Tao. La via dell’acqua che scorre (Alan Watts)

«La ragione cerca sempre la soluzione su una via coerente, logica: ha ragione in tutte le situazioni e problemi spiccioli, ma non è sufficiente per le grandi questioni decisive.

È incapace di creare l’immagine, il simbolo che è irrazionale.

Quando la via della ragione è diventata un ostacolo – e ad un certo punto lo diviene sempre – allora la soluzione arriva nel modo più inatteso.»
(Carl G. Jung – Tipi Psicologici)

FINE.

Joe Dispenza - Cambia l'abitudine di essere te stesso - Fisica quantistica
Joe Dispenza – Cambia l’abitudine di essere te stesso

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Fondatore del Jung Italia. Psicologo Clinico. Originario di Salerno, vivo a Roma. Fin dall'età di 14 anni ho iniziato ad interessarmi alla filosofia occidentale e orientale e all'età di 17 anni scopro Jung. A 21-22 anni iniziano le mie attività di pubblicazioni tramite riviste di psicologia e interventi in qualità di ospite o relatore presso convegni e seminari di psicologia. Nel 2012 conosco in Svizzera uno dei nipoti di Jung, e l'anno successivo mi concede un'intervista speciale in occasione della presentazione del "Libro Rosso" alla biennale di Venezia. Attualmente collaboro e lavoro come psicologo o studioso indipendente con associazioni, riviste scientifiche, scuole di psicoterapia e con diversi autori dell'ambito accademico e non. I miei studi d'approfondimento vertono sugli sviluppi odierni relativi alla psicologia complessa (analitica) e sulle ricerche inerenti il versante "Psiche e Materia".

6 Commenti

  1. Ho sempre vissuto sulla mia pelle l’impossibilità di dominare certe situazioni, e per questo mi sono convinto della non verità del ” volere/ potere. Sono contento d’aver è scoperto che uno come Jung ,sia per suo temperamento ,che per l’esperienza di terapeuta ,
    sostenga questa convinzione. È una idea che contrasta il senso comune ,e non solo , e che si fonda su una illusione ottica dovuta credo all’io orgoglioso che crede di essere il padrone del mondo ma che come ha dichiarato il padre della psicanalisi non è padrone neanche a casa sua . Assumere l’idea opposta comporta il venir meno di tutto un sistema di valori/premi funzionali ad una visione del mondo che gratifica chi ,magari come nevrosi, opera nella convinzione illusoria di essere un agente senza il minimo sospetto di essere agito o comunque di essere strumento di una superiore Volontà che non è la propria volontà .

  2. Articolo bello, di cui ne condivido il contenuto, avendo provato in prima persona ciò di cui si parla.
    Ma non riesco a spiegarmi perchè, più volte nel testo, l’autore scriva “sè stesso” con l’accento sul monosillabo SE: quanto accompagnato a STESSO NON vuole accento!

    Roberta Garofalo

    • Grazie per l’interessamento Roberta.
      Prima di ergersi a correttori della grammatica italiana però bisogna essere ben informati! eheheheh!
      La correggo informandola che non è così come dice lei riguardo la forma verbale scritta “se stesso”.
      I manuali di grammatica italiana non lo riportano assolutamente come errore, ma semplicemente suggeriscono che l’accento su “se”, quando è seguito da “stesso” o “medesimo” lo si può anche omettere. Dunque non è un errore. Tuttavia, alcuni altri manuali di grammatica italiana molto noti, affermano che:

      «[…]Altri considerano invece opportuno indicare sempre l’accento del pronome tonico riflessivo, scrivendo pertanto sé stesso, sé stessa, sé stessi ecc.
      Luca Serianni (Grammatica italiana – Italiano comune e lingua letteraria, Torino, Utet, 1991o’, p. 57) ritiene, ad esempio, «Senza reale utilità la regola di non accentare sé quando sia seguito da stesso o medesimo, giacché in questo caso non potrebbe confondersi con la congiunzione: è preferibile non introdurre inutili eccezioni e scrivere sé stesso, sé medesimo. Va osservato, tuttavia, che la grafia se stesso è attualmente preponderante […]». In proposito, infine, il DOP – Dizionario d’ortografia e di pronunzia redatto da Bruno Migliorini, Carlo Tagliavini e Piero Fiorelli (Torino, ERI, 1981) osserva (s.v.): «frequenti ma non giustificate le varianti grafiche se stesso, se medesimo, invece di sé stesso, sé medesimo».

      Buon aggiornamento! 😉

      Fonte: http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/accentazione-pronome-stesso

  3. L’inconscio è, per definizione, inaccessibile e se dovesse venire a galla nella coscienza cesserebbe di essere inconscio.
    Un problema, per essere superabile, deve necessariamente essere risolto. Qui si confonde l’inconscio con l’intuito intellettuale che è, precisamente, la spiritualità.

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