«L’ultima questione è sapere se dal fondo delle tenebre un essere può brillare» (Karl Jaspers)
Ogni volta che si pensa alla schizofrenia, soprattutto in ambito accademico, vengono in mente subito parole quali: sintomi, diagnosi, prognosi, decorso, esordio, ecc.
- Ma quali sono i nuclei più significativi di questa malattia mentale?
- Chi fu ad interrogarsi per primo circa le dinamiche di questa discussa e misteriosa piaga mentale?
- Cosa differenzia uno schizofrenico da un individuo “normale”?
- Quale mondo contiene lo schizofrenico che, seppur indicibile, riverbera attraverso i suoi deliri?
Di seguito troverai un rapidissimo accenno al passato e all’origine del termine schizofrenia, ma successivamente, come è tradizione del Jung Italia, partiranno le carrellate di estratti tematici e contenuti presi direttamente da saggi sull’argomento.
Per questo post sono stati scelti passi specifici dello psichiatra che rivoluzionò e cambiò per sempre (in meglio) il modo in cui oggi viene vista la schizofrenia: Carl Gustav Jung.
Ebbene si, di nuovo – e sempre – lui. È ovunque 😀 .
Gli estratti del post sono stati scelti, prevalentemente, dal saggio La schizofrenia (Jung, 1907/1959), che puoi trovare qui sotto!
[ Sul tema PSICOSI ti lascio anche quest’altro post più specifico, intitolato: La psicosi contiene mondi indicibili: la rivoluzione di Jung alla ricerca del “senso” e del significato ]
Buona lettura!

Un rapido salto nel passato

Ad averne coniato il termine fu Eugene Bleuler, eminente psichiatra svizzero che ridefinì irreversibilmente il quadro di questa malattia che all’epoca veniva chiamata dementia praecox (demenza precoce), proprio a sottolineare l’irreversibilità e il deterioramento mentale precoce a cui i malati andavano incontro.
Accorgendosi che alcuni pazienti affetti potevano migliorare nei loro quadri clinici – a diversi livelli – Bleuler decise allora, nel 1908, di rinominare questa malattia in schizofrenia, che etimologicamente sta a significare scissione della mente (dal greco σχίζω “schizo” = diviso; e φρήν “phren” = cervello, mente)
Oltre un secolo fa, erano davvero in pochi a chiedersi cosa fosse realmente questa malattia. Tra questi pochi spicca tra tutti Carl Gustav Jung, anche lui psichiatra svizzero, che all’epoca collaborava proprio con Bleuler nella clinica Burgholzli.
Jung è considerato dalla storia della psichiatria uno dei primissimi padri della psichiatria dinamica moderna [H.Ellenberger; Shamdasani, 2007]
Jung e la rivoluzione teorico/clinica della schizofrenia

Jung era però stanco delle solite faccende nosografiche, delle etichette e della categorizzazione dei disturbi e delle malattie psichiche, e iniziò seriamente a chiedersi:
Che cosa accade nei malati di mente?
In molti ancora si chiedono:
- La schizofrenia è una malattia mentale curabile, o addirittura guaribile?
Si! Ovviamente dipende da tantissimi fattori socio-bio-psicologici. Ma Jung fu il primo psichiatra al mondo a dimostrare – più di una volta – che diversi individui con questa malattia potevano guarire anche totalmente.
[ 🔎 La psicosi contiene mondi indicibili: la rivoluzione di Jung alla ricerca del “senso” e del significato ]
Ecco cosa ci riporta R. Papadopoulos circa la rivoluzione che Jung apportò nel Burgholzli nel trattamento con i malati di mente:
«Uno dei principali interessi di Jung fu la ricerca del significato delle verbalizzazioni dei pazienti. Non accettava, ancora una volta, che ciò che i pazienti dicevano fosse privo di senso perché proveniva da persone folli; non lo voleva liquidare semplicemente come un discorso di individui in preda alla pazzia.
Jung tentava invece di scoprire l’unicità del suo significato. Anche con i pazienti cronici, che erano “completamente dementi e dicevano cose assolutamente incomprensibili” (RSR, p.164), Jung scoprì un senso in ciò che andavano dicendo, “che fino ad allora era stato considerato privo di significato” (Ibidem).

Una paziente, per esempio, soleva urlare: “Sono la rappresentante di Socrate”, e Jung scoprì (indagando attentamente la sua personalità e le circostanze) che «voleva dire: “Sono accusata ingiustamente come Socrate”» (RSR, p.165).
Lavorando attivamente a favore dell’evoluzione dell’interpretazione del loro linguaggio, a volte Jung riuscì a provocare nei pazienti dei notevoli mutamenti positivi e persino a “guarirli”, come successe con una vecchia schizofrenica che udiva una voce che definiva “voce di Dio”, cui Jung disse: «Dobbiamo avere fiducia in quella voce» (RSR, p.165). Mettendosi in rapporto con lei in un modo che non soltanto le offriva una conferma, ma che attribuiva un significato alla mancanza di senso delle sue voci “folli”, Jung riuscì a conseguire un “successo inatteso” del trattamento (RSR, p.166).
E’ importante riconoscere che l’accento posto sul significato non fu un’invenzione di Jung, ma faceva parte dell’ethos e dell’approccio generale sviluppati da Bleuler. È tipico che A.A.Brill (lo psicanalista americano facente anch’egli parte del gruppo di ricerca del Burgholzli) scrivesse che, all’epoca, gli psichiatri di quell’istituzione “non s’interessavano di ciò che i pazienti dicevano, ma del suo significato” (Brill 1946, p.12). Ciò non invalida il contributo di Jung, bensì ne fornisce il contesto; riuscì a collegare quella filosofia al proprio approccio e, cosa estremamente importante, a svilupparla ulteriormente e a raggiungere le sue posizioni epistemologiche uniche.»
(Renos K. Papadopoulos – tratto dal capitolo L’espitemologia e la metodologia di Jung. In “Manuale di psicologia Junghiana” , p.58)
A seguire, nel corso della storia, ci furono altri grandi importanti studiosi di questa misteriosa malattia, tra i più grandi annoveriamo: Jaspers, Minkowski, Blanco, Sullivan, Fromm-Reichmann, Silvano Arieti, Binswanger, Sarles, Laing, Benedetti, ecc.
!Ed ora partiamo con gli estratti originali sul tema!

ESTRATTI SULLA SCHIZOFRENIA
Dinamiche psichiche della schizofrenia. Tra funzionamento nevrotico e psicotico
«…Così come una perla nasce dal difetto d’una conchiglia, la schizofrenia può far nascere opere incomparabili. E come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così, di fronte alla forza vitale di un’opera, non pensiamo alla schizofrenia che forse era la condizione della sua nascita…» (Jaspers, 1922, tratto da Genio e Follia)
❗PS: Jung nel testo riporta il termine schizofrenia rifacendosi all’uso inglese schizophrenia. Per comodità ho inserito sempre il termine in italiano.❗

[dropcap letter=”Le”] cose più desiderabili sono solitamente quelle che non si possiedono. Bisogna perciò cominciare dai problemi che non hanno ancora ricevuto una soluzione, o dalle ipotesi speculative che sono basate su fatti dell’esperienza.
Il più imperioso bisogno, in psicologia così come in psicopatologia, è, a mio parere, l’approfondimento e l’allargamento della conoscenza delle complesse strutture psichiche che lo psicoterapeuta deve affrontare. Noi sappiamo troppo poco dei contenuti e del significato dei prodotti mentali morbosi, e anche il poco che sappiamo è messo in pericolo da pregiudizi teorici. Ciò vale in modo particolare per la psicologia della schizofrenia.
La nostra conoscenza di questa malattia mentale, di tutte la più frequente, si trova ancora a uno stadio veramente insoddisfacente. Dopo il modesto tentativo, che io feci cinquant’anni or sono in questo campo ancora inesplorato, non è stato compiuto nessun progresso capitale. Benché nel frattempo io stesso abbia avuto in osservazione, analizzato e trattato un gran numero di schizofrenici, non mi è stato possibile condurre degli studi sistematici, come avrei fatto volentieri.
Il motivo si deve cercare nel fatto che mancava un sano fondamento scientifico per una simile impresa. Per questa occorre il “point de repère” esterno (punto di riferimento), il punto extra rem di Archimede, cioè in questo caso la possibilità di confronto con una psicologia normale corrispondente ed equivalente.
Già nell’anno 1907 ho fatto notare che il confronto con la mentalità nevrotica e la sua specifica psicologia è valido solo fino un certo punto, cioè solo finché si può applicare il punto di vista personalistico. Nella psicologia degli schizofrenici esistono tuttavia elementi manifesti che non si possono inserire in un sistema di riferimento puramente personalistico.
Benché la psicologia personalistica (vedi le ipotesi euristiche di Freud e Adler) porti fino a un certo punto a risultati soddisfacenti, il suo valore diviene dubbio se la si applica ai particolari prodotti mentali tipici della schizofrenia paranoide, o alla specifica dissociazione che ne sta alla base, e che a suo tempo ha autorizzato E.Bleuler a definire questa malattia col nome di “schizofrenia”.
Questo concetto esprime la differenza tra:
- la dissociazione nevrotica
- e quella psicotica,
in quanto la prima rappresenta una dissociazione “sistematica” della personalità, mentre per la seconda si tratta d’una disgregazione “non fisiologica” e non sistematica degli elementi psichici, vale a dire delle rappresentazioni.
Mentre I fenomeni nevrotici corrispondono maggiormente ai processi normali, quali si osservano soprattutto in condizioni di emozione, i sintomi della schizofrenia assomigliano piuttosto ai fenomeni che si possono osservare nel sogno o negli stati d’intossicazione. Nella misura in cui i sogni sono da considerare come fenomeni del sonno normale, la loro analogia con la disintegrazione schizofrenica rimanda a un comune denominatore, che consiste in un “abaissement du niveau mental” (Pierre Janet) (in italiano: abbassamento del livello mentale).
Questo abaissement, quale che ne sia la causa, inizia con un rilassamento della concentrazione o dell’attenzione. Le associazioni perdono valore e diventano superficiali. Al posti dei collegamenti significativi compaiono associazioni verbo-motorie e fonetiche (rima, allitterazione ecc.) così come perseverazioni, e prendono sempre più il sopravvento. Infine non solo il significato delle frasi, ma anche le parole possono dissolversi. Inoltre la continuità tematica viene disturbata da bizzarre e illogiche interferenze.

Questo abaissement si può osservare non solo nello stato del sogno, ma anche nella schizofrenia.
Esiste tuttavia una differenza sostanziale, in quanto in quest’ultima la coscienza non è diminuita come nel sogno. Nella schizofrenia (eccettuati gli stati oniroidi e deliranti) la memoria e l’orientamento generale funzionano normalmente, anche se sono indubbiamente presenti sintomi di abaissement. Questo fatto dimostra chiaramente che I fenomeni della schizofrenia non sono determinati da una generale diminuzione dell’attenzione e della coscienza, ma dipendono da un altro fattore di disturbo, che per parte sua è evidentemente collegato a certi particolari elementi psichici. In generale non si può dire in anticipo quali rappresentazioni saranno disturbate.
Esiste tuttavia una certa probabilità che esse appartengano al campo emotivo di un complesso riconoscibile, la cui presenza di per sé non è uno specifico segno di schizofrenia. Si tratta al contrario di un complesso identico a quelli che si possono osservare sia nei soggetti normali che nei nevrotici. Benché un complesso emotivo possa disturbare o diminuire la generale attenzione e concentrazione assorbendo la loro energia, esso tuttavia non distrugge mai i suoi stessi elementi o contenuti psichici nel modo in cui lo fa un complesso schizofrenico. Si può persino dire che gli elementi di un complesso nevrotico o normale sono non solo ben formati, ma ipertrofici grazie al loro maggiore valore energetico. Essi hanno una pronunciata tendenza ad aumentare la loro estensione mediante l’esagerazione e le aggiunte fantastiche.

Al contrario, il complesso schizofrenico è caratterizzato da una peculiare degenerazione e da una disgregazione delle sue rappresentazioni, mentre nel suo ambito generale l’attenzione è assai poco compromessa. Si direbbe che il complesso si annienti da sé stesso stravolgendo i suoi contenuti e la sua capacità di comunicazione, cioè la sua capacità di esprimersi mediante il pensiero coordinato e la parola. Esso non sembra trarre la sua energia da altri processi mentali, dato che né l’orientamento generale né altre funzioni vengono danneggiate. È al contrario piuttosto evidente che il complesso schizofrenico consuma la sua stessa energia, sottraendola ai suoi propri contenuti mediante l’abbassamento del loro “niveau mental” (livello mentale).
Si potrebbe anche avanzare un diverso punto di vista, e dire che l’intensità emotiva del complesso porta a un inatteso sprofondamento dei suoi stessi fondamenti o a un disturbo della normale sintesi delle rappresentazioni. Certo è difficile immaginarsi un processo psichico che porti a un risultato di questo genere. La psicopatologia delle nevrosi non dà alcuna indicazione in tal senso, perché tutti i processi nevrotici si svolgono con elementi psichici del tutto ordinate. Nessuna disintegrazione delle rappresentazioni ecc. si verifica nel loro campo. Se in una nevrosi compaiono trace del genere, allora si hanno tutti i motivi di sospettare che si tratti di una schizofrenia latente…»
(C.G.Jung – Nuove considerazioni sulla Schizofrenia)
«(Bleuler) mi propose di studiare sperimentalmente la disgregazione delle rappresentazioni nella schizofrenia. A quel tempo, con l’aiuto dell’esperimento di associazione, eravamo già penetrate tanto Avanti nella psicologia di questi malati che sapevamo dell’esistenza dei ‘complessi a tonalità affettiva’ che si manifestavano nella schizofrenia: erano essenzialmente gli stessi complessi che si possono osservare anche nelle nevrosi.»
(C.G. Jung – La Schizofrenia, 1958)
Jung e la sua precoce e geniale ipotesi neurobiologica

«Comunque ci si rappresenti il particolare comportamento del complesso schizofrenico, tuttavia il contrasto con quello del complesso nevrotico o normale è chiaramente evidente.
In considerazione del fatto che finora non si sono potuti scoprire processi specificamente psicologici cui attribuire la responsabilità dell’effetto schizofrenico, cioè della specifica dissociazione, sono giunto alla conclusione che potrebbe esistere una causa tossica. Questa si potrebbe ricondurre a una disintegrazione organica e locale, cioè a un’alterazione fisiologica, che sarebbe scatenata dal fatto che la pressione dell’intensità emotive supera la capacità delle cellule cerebrali (i “troubles cénestésiques” descritti da Sollier circa sessant’anni fa sembrano indicare questa direzione).
Esperienze compiute con mescaline e droghe affini appoggiano l’ipotesi di un’origine tossica. Riguardo alla questione delle future possibilità di sviluppo nel campo della psichiatria vorrei sottolineare che qui si apre, al lavoro dei pionieri scientifici, un campo praticamente inesplorato.
Mentre esaminare il problema d’una tossina specifica, a causa dei suoi aspetti formali, rappresenta un compito per la psichiatria clinica, esaminare quello dei contenuti della schizofrenia e del loro significato è un compito importante sia per lo psicopatologo sia per lo psicologo del futuro. Entrambi i problemi hanno, in primo luogo, un estremo interesse teorico; ma oltre a ciò la loro soluzione costituirà un indispensabile fondamento per la terapia della schizofrenia.

Perché, come sappiamo già, questa malattia ha due aspetti di grande importanza, quello biochimico e quello psicologico.
È un fatto noto, che con mia grande soddisfazione ho potuto dimostrare io stesso cinquant’anni fa, che la malattia, anche se solo in misura limitata, si può curare con la psicoterapia.
«Lo studio della schizofrenia è, a mio parere, uno dei compiti più importanti della psichiatria del futuro. Il problema ha due aspetti, uno fisiologico e uno psicologico, perchè, per quanto possiamo vedere oggi, questa malattia non permette una spiegazione a orientamento unilaterale. La sua sintomatologia rimanda da un lato a un processo distruttivo basilare, probabilmente di natura tossica, e d’altro lato – nella misura in cui un’eziologia psicogena non può essere esclusa e in cui un trattamento psicologico si rivela, in casi appropriate, efficace – rimanda a un fattore psichico della stessa importanza. Entrambe le vie di accesso aprono vaste prospettive dal punto di vista sia teorico sia terapeutico.»
(C.G. Jung – ibidem, 1959)

«Il comportamento brusco, rigido, stagnante e discontinuo dell’appercezione schizofrenica si differenzia dalla fluida e mobile continuità del sintomo della mescalina. Aggiunto ai disturbi del simpatico, del ricambio e della circolazione sanguigna, ciò genera un quadro generale sia psicologico sia fisiologico che ricorda sotto molti aspetti un disturbi tossico, e che già cinquant’anni fa mi fece pensare a una specifica tossina del metabolismo.
Mentre a quel tempo dovetti lasciare senza risposta la domanda, se l’etiologia fosse tossica primariamente o secondariamente, dopo una lunga esperienza pratica sono arrivato alla convinzione che l’origine psicogena della malattia è più probabile di quella tossica.
Esistono casi numerosi di schizofrenie, leggere e transitorie ma indubbie – a prescindere completamente dalle psicosi latenti ancora più numerose – che hanno un punto di partenza puramente psicogeno, e un decorso altrettanto psicologico – se non si tiene conto di certe sfumature presumibilmente tossiche – e che possono per così dire venire restituiti ad integrum mediante un procedimento puramente psicoterapeutico. Lo stesso ho osservato anche in casi gravi.»
(C.G. Jung – ibidem)
I contenuti psichici della schizofrenia non sono solo personali/biografici, ma anche archetipici
Non appena si intraprende il trattamento psicologico, inizia il problema dei contenuti psicotici e del loro significato.
Sappiamo già che in molti casi abbiamo a che fare con un materiale psicologico paragonabile a quello delle nevrosi o dei sogni e comprensibile dal punto di vista personalistico. Ma, a differenza dei contenuti di una nevrosi, che possono venire spiegati in misura soddisfacente attraverso dati biografici, i contenuti psicotici presentano particolarità che sfuggono a una riduzione a circostanze biografiche individuali, proprio come esistono anche sogni il cui simbolismo non si può spiegare soddisfacentemente sulla base di dati personali.
Con questo voglio dire che i contenuti nevrotici possono essere confrontati con i contenuti dei complessi normali, mentre i contenuti psicotici, specialmente nei casi paranoidi, presentano una stretta analogia con quel tipo di sogno che il primitivo definisce appropriatamente “grande sogno”. Al contrario dei sogni abituali, un simile sogno è profondamente impressionante, numinoso, e le sue immagini si servono spesso di motivi che sono analoghi o addirittura identici a quelli dei miti.

Queste strutture io le chiamo col nome di “archetipi”, perché funzionano in modo simile ai modi di comportamento istintivi. Inoltre perlopiù si possono incontrare dappertutto e in tutti i tempi: nel folklore delle popolazioni primitive, nei miti greci, egiziani e dell’antico Messico così come nei sogni, nelle visioni e nelle rappresentazioni deliranti degli uomini di oggi, che nulla sanno di queste tradizioni.
In questi casi si cerca invano una causalità personalistica per trovare una spiegazione della loro strana forma arcaica e del loro significato. […] Considero queste strutture archetipiche come la matrice di tutte le costruzioni mitologiche. Esse non solo compaiono in condizioni fortemente emotive, ma molto spesso sembrano anche esserne la causa. Sarebbe un errore ritenerle rappresentazioni ereditarie, perché sono solo condizioni per la formazione di rappresentazioni, come gli istinti sono i presupposti dinamici dei più diversi modi di comportamento. Anzi probabilmente gli archetipi sono l’espressione o manifestazione psichica dell’istinto.»
(C.G.Jung – Nuove considerazioni sulla Schizofrenia)
«Fu il frequente ricorso a forme associative e strutture arcaiche, che osserviamo nella schizofrenia, a darmi la prima idea di un inconscio formato non solo da contenuti di coscienza originari andati perduti, ma anche da uno strato in certo modo più profondo, dello stesso carattere universale dei motivi mitici che caratterizzano la fantasia umana in generale. (Naturalmente questi arcaismi si presentano anche nelle nevrosi, e così anche negli individui normali. Ma sono più rari.
Questi motivi non sono affatto inventati, ma piuttosto trovati, come forme tipiche che compaiono spontaneamante più o meno universalmente, indipendentemente dalla tradizione, in miti, fiabe, fantasie, sogni, visioni e sistemi deliranti.
A uno studio più approfondito di queste forme tipiche risulta che si tratta di atteggiamenti, modi di fare, tipi di rappresentazione e impulsi che devono essere considerati come il comportamento istintivo tipico dell’uomo.
Il termine da me scelto per designare ciò, e cioè “archetipo”, coincide quindi con il concetto noto in biologia del “pattern of behaviour”. Qui non si tratta affatto di rappresentazioni ereditarie, ma di pulsioni e forme istintive ereditarie, come si possono osservare in tutti gli esseri viventi.»
(C.G. Jung – La Schizofrenia, 1958)
Schizofrenie latenti
«Il numero delle psicosi latenti e potenziali è sorprendentemente grande, in confronto con quello dei casi manifesti.
Io calcolo – senza però poter fornire dati statistici precisi – un rapporto di dieci a uno. Non poche delle nevrosi classiche, come l’isterismo e le nevrosi ossessive, si rivelano sotto trattamento come psicosi latenti, che talvolta possono trasformarsi in psicosi manifeste: fatto, questo, che uno psicoterapeuta dovrebbe sempre tener presente.
Anche se un destino benevolo, più che il mio merito, mi ha risparmiato di vedere uno dei miei pazienti scivolare inarrestabilmente in una psicosi, mi è tuttavia capitato, in qualità di consulente, di vedere tutta una serie di simili casi, come per esempio classiche nevrosi ossessive i cui impulsi ossessivi si trasformarono gradatamente in corrispondenti allucinazioni uditive, o indubbi isterismi che si sono svelati come semplici sovrastratificazioni delle più diverse forme di schizofrenia.
Esperienze queste che non sono affatto estranee allo psichiatra clinico. Ma quello che fu nuovo per me, quando feci il mio ingresso nella pratica privata, fu il numero relativamente grande di casi di schizofrenia latenti che evitano il manicomio con determinazione spesso inconscia, ma sistematica, per rivolgersi invece allo psicologo per consiglio e aiuto. Non si tratta affatto, in questi casi, sempre di soggetti a costituzione schizoide, ma di autentiche psicosi, che però non hanno ancora definitivamente minato la compensazione realizzata dalla coscienza.
Sono passati circa cinquant’anni da quando, attraverso l’esperienza pratica, mi sono convinto della curabilità e guaribilità di disturbi schizofrenici.
Il paziente schizofrenico – ho trovato – in rapporto al trattamento si comporta non diversamente dal nevrotico. Egli ha gli stessi complessi, la stessa comprensione e gli stessi bisogni, ma non la stessa sicurezza delle sue basi.»
(C.G. Jung – La Schizofrenia, 1958)

Distanziare (per sicurezza) l’Io dal contenuto inconscio, per poterlo integrare
«Nei pazienti schizofrenici, che sono già con successo sotto trattamento, possono verificarsi delle complicazioni emotive, che conducono a una recidiva psicotica o a una psicosi iniziale acuta, se i sintomi indicatori del pericolo, e specialmente i sogni distruttivi, non vengono riconosciuti in tempo.
Il trattamento o lo stroncamento di simili complicazioni non richiede sempre interventi drastici. Si può portare la coscienza del paziente per così dire a una distanza di sicurezza dall’inconscio anche per mezzo di provvedimenti terapeutici ordinari, per esempio invitando il paziente a disegnare o a dipingere un quadro della sua situazione psichica.
Con questo si rende visibile la caotica situazione complessiva, apparentemente incomprensibile e non formulabile, e la si oggettiva: in tal modo essa può venire osservata, analizzata e interpretata dalla coscienza, in un certo modo, a distanza.
L’effetto di questo metodo sembra consistere nel fatto che l’impressione originariamente caotica e spaventosa viene sostituita dall’immagine, che per così dire vi si mette davanti [immaginazione attiva].
Il ‘tremendum’ viene “esorcizzato” dall’immagine, banalizzato e familiarizzato, e quando il paziente è richiamato da affetti minacciosi all’esperienza primordiale vissuta, l’immagine che ne ha create, viene a interporsi e tiene a bada il suo terrore.»
(C.G.Jung – La Schizofrenia, 1958)
«…per quanto possiamo vedere finora, tutta la fenomenologia della malattia è centrata sul complesso patogeno. Tentando una spiegazione è meglio partire da questo punto, e considerare l’indebolimento della personalità dell’Io come secondario e come una delle conseguenze distruttive di un complesso a tonalità affettiva, nato si in condizioni normali, ma che in seguito, con la sua intensità, ha fatto saltare l’unità della personalità.»
(C.G. Jung – ibidenm)
«Un tempo tale malattia (schizofrenia) veniva designata con il nome non del tutto appropriato di “demenza precoce” datole da Kraepelin.
Bleuler la chiamò più tardi “schizofrenia”. Sventura volle che questa malattia fosse scoperta dagli psichiatri, giacché è a questo fatto che si deve la sua prognosi apparentemente infausta: “demenza precoce” è infatti sinonimo di malattia incurabile.
Che sarebbe dell’isterismo se lo si giudicasse dal punto di vista della psichiatria! Lo psichiatra, come è naturale, ha modo di vedere nel suo ospedale solo i casi più disperati e, sentendosi come paralizzato per quel che riguarda la terapia, è logico che sia pessimista.
I tubercolotici sarebbero in una situazione deplorevole, se si presentasse la loro malattia basandosi esclusivamente sulle osservazioni fatte in un sanatorio per incurabili! Come i soggetti affetti da isterismo cronico che s’abbrutiscono lentamente nei manicomi sono poco indicativi del vero isterismo, così la “schizofrenia” non può servir di norma per quei suoi stadi preliminari tanto frequenti nella pratica medica e che di rado hanno modo di cadere sotto lo sguardo degli psichiatri dei nosocomi. “Psicosi latente”: ecco un concetto che lo psicoterapeuta ben conosce e paventa.»
(C.G. Jung – Simboli della Trasformazione, p.52)

«Nella psicosi, invece, il presente e il futuro risultano azzerati e sormontati dalla supremazia d’un passato vanamente inseguito, impossibile a possedersi, eppur capace di unificare ogni intento di coerenza e ogni aspirazione del soggetto a delimitare un’esperienza vissuta in confini abbastanza sicuri.
Così, ciò che domina non è tanto il nulla, ma piuttosto un tempo arcaico, che resiste ad ogni traduzione attualizzante, tenace e illusorio, attraente e inconsistente, come un astro lontano, che osserviamo nel cosmo, consapevoli (se non siamo imbrigliati dalla psicosi) che esso puo aver terminato la sua vita da tempo. Penetrare la psicosi è quasi agganciare con umile pazienza i margini d’un mondo lontano, donde un’esile luce «parla» ancora a noi e al nostro sguardo interno. Sentire il tempo è invece sentire un vuoto fluente, in un clima di attesa comune e distinta rispetto all’altro.”
(Antonio Vitolo – dall’articolo pubblicato sulla rivista di psicologia analitica Vol.40, 1989, Note sul sentimento junghiano del tempo)
FINE!
APPROFONDIMENTI sul TEMA SCHIZOFRENIA:
- Jung e la Psicosi (LIRPA)
- Jung e la schizofrenia (Gaetano Benedetti) – Rivista Psicologia Analitica
- Cosa possiamo aspettarci dalla schizofrenia? (John W. Perry) – Rivista Psicologia Analitica)
- Per una terapia della schizofrenia: il rapporto psicoterapeutico come relazione sociale (Giuseppe Maffei) – Rivista Psicologia Analitica
- Desimbolizzazione e riorganizzazione del simbolo nella psicoterapia della schizofrenia (Concetto Gullotta) – Rivista Psicologia Analitica
- Tecnica per investigare il ruolo di fattori ambientali sulla genesi della schizofrenia (E.F. Kazanetz) – Rivista Psicologia Analitica
- II problema del negativismo schizofrenico (Gaetano Benedetti) – Rivista Psicologia Analitica
- Partecipazione al delirio schizofrenico o realtà dell’inconscio collettivo? (Gaetano Benedetti) – Rivista Psicologia Analitica
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