«La psicologia moderna ha in comune con la fisica moderna il fatto che il suo metodo riveste un’importanza conoscitiva maggiore che non il suo oggetto. Il suo oggetto infatti, la psiche, è di una varietà, di un’indeterminatezza che le indicazioni che essa dà sono necessariamente difficili o addirittura indecifrabili, mentre le definizioni fornite dal modo di considerarla e dal metodo che ne deriva sono – o almeno dovrebbero essere – grandezze note. La ricerca psicologica prende le mosse da questi fattori, definiti empiricamente o arbitrariamente, e osserva la psiche alla luce appunto del variare di queste grandezze. L’elemento psichico appare in tal modo come un disturbo di un modo di comportamento probabile, presupposto dal metodo che è stato adottato di volta in volta. Il principio di questo modo di procedere è – cum grano salis – quello proprio in generale delle scienze naturali.
E’ chiarissimo che in queste circostanze tutto o quasi dipende dalla premessa metodologica, e il risultato è imposto principalmente da questa premessa.
Certamente il vero e proprio oggetto della conoscenza accampa in una certa misura i propri diritti; ma al tempo stesso esso non si comporta come si comporterebbe, in quanto realtà autonoma, in una situazione naturale priva d’interferenze.
Si è quindi riconosciuto già da lungo tempo proprio in sede di psicologia sperimentale, e soprattutto nella psicopatologia, che una certa disposizione sperimentale non coglie con immediatezza il processo psichico, ma tra questo processo e l’esperimento s’insinua una certa condizione psichica che potremo definire ‘situazione sperimentale’. Questa “situazione” psichica può in certi casi mettere in forse tutto l’esperimento, in quanto assimila a sé l’organizzazione sperimentale e perfino lo scopo che è alla base dell’esperimento…»
(C.G.Jung – Considerazioni sulla Teoria dei Complessi, Opere Vol.8, p.110)