
Citazioni sul tempo, memoria, destino e morte.
Di Jorge Luis Borges
«Ma egli ebbe quello che il suo cuore bramava, e tardò molto ad averlo,
e forse non c’è felicità più grande…»
(Jorge Luis Borges – Aleph)
Questo post raccoglie alcuni bellissimi passi scelti da “Aleph”, libro di racconti di Jorge Luis Borges, scrittore e poeta argentino (1899-1986).
I passi scelti sono suddivisi per temi, gli stessi temi che Borges tratta in questi caratteristici racconti che raccolse nel libro Aleph. Sono passate alla storia le sue peculiari riflessioni che troviamo anche in questo suo libro, circa la morte, il tempo, l’idea del tempo infinito.
Buona lettura e “degustazione”!

«Sentii, giunto all’ultima pagina, che la mia narrazione era un simbolo dell’uomo che io ero mentre la scrivevo, e che, per scriverla, avevo dovuto essere quell’uomo, e che, per essere quell’uomo, avevo dovuto scrivere quella storia, e così all’infinito.»
(Jorge Luis Borges – Aleph)
«L’opera di Borges, in definitiva, è tutta una costante e originale ricerca, dalla quale esulano il metodo, il rigore, il sistema, ma dove l’intuizione trionfa e getta la sua luce su un universo sospeso tra la norma e l’assurdo, tra l’ordine e il caos; il cui riscatto, sia pure parziale o incomprensibile, è unicamente confidato all’uomo.»
(Francesco Tentori Montalto)
-
Sul tempo, la memoria e la morte:
«Pensai a un mondo senza memoria, senza tempo;
considerai la possibilità d’un linguaggio di verbi impersonali o d’indeclinabili epiteti.
Così andarono morendo i giorni e coi giorni gli anni, ma qualcosa simile alla felicità accadde una mattina.
Piovve, con lentezza possente…»
(Jorge Luis Borges – Aleph)
«Modificare il passato non è modificare un fatto isolato; è annullare le sue conseguenze, che tendono ad essere infinite. In altre parole: è creare due storie universali.»
Il passato immediato rimane come scisso dal futuro.
«C’è chi cerca l’amore di una donna per dimenticarsi di lei, per non pensare più a Lei…»
«Anni di solitudine gli avevano insegnato che i giorni, nella memoria, tendono a uguagliarsi, ma che non c’è un giorno, neppure di carcere o d’ospedale, che non porti una sorpresa che non sia, controluce, un rete di minime sorprese.»
«Avevo compreso da tempo che non c’è cosa al mondo che non sia germe di un Inferno possibile; un volto, una parola, una pubblicità di sigarette potrebbero render pazza un persona, se questa non riuscisse a dimenticarli.»
« Essi [gli immortali] sapevano che in un tempo infinito ad ogni uomo accadono tutte le cose.
Per le sue passate o future virtù, ogni uomo è creditore d’ogni bontà, ma anche d’ogni tradimento, per le sue infamie del passato o del futuro. Come nei giochi d’azzardo le cifre pari e le dispari tendono all’equilibrio, così l’ingegno e la stoltezza si annullano e si correggono…
[…] So che alcuni operavano il male affinché nei secoli futuri ne derivasse il bene, o ne fosse derivato in quelli passati. Visti in tal modo, tutti i nostri atti sono giusti, ma sono anche indifferenti.»
«La morte (o la sua illusione) rende preziosi e patetici gli uomini.
Questi commuovono per la loro condizione di fantasmi; ogni atto che compiono può essere l’ultimo; non c’è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto d’un sogno.
Tutto, tra i mortali, ha il valore dell’irrecuperabile e del casuale. Tra gli Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l’eco d’altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine.
Non c’è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi. Nulla può accadere una sola volta, nulla è preziosamente precario. Ciò che è elegiaco, grave, rituale, non vale per gli Immortali. Omero ed io ci separammo alle porte di Tangeri; credo senza dirci addio.»
«Quando si avvicina la fine, non restano più immagini del ricordo; restano solo parole.
Non è da stupire che il tempo abbia confuso quelle che un giorno mi rappresentarono con quelle che furono simboli della sorte di chi mi accompagnò per tanti secoli.
Io sono stato Omero; tra breve, sarò Nessuno, come Ulisse; tra breve, sarò tutti:
sarò morto.»
«Essere immortale è cosa da poco:
tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacchè ignorano la morte;
la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali.»
«Sono di nuovo mortale, mi ripetei, sono di nuovo simile a tutti gli uomini.
Quella notte dormii fino all’alba.»
«Secondo la dottrina idealista, i verbi vivere e sognare sono rigorosamente sinonimi.
Di migliaia di apparenze, me ne rimarrà una;
da un sogno molto complesso, passerò a uno molto semplice.»
Accettiamo facilmente la realtà,
forse perché intuiamo che nulla è reale.
-
Sul destino:
« […] perché gli atti sono il nostro simbolo.
Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà d’un solo momento:
il momento in cui l’uomo sa per sempre chi è.»
«Comprese che un destino non è migliore d’un altro,
ma che ogni uomo deve compiere quello che porta in sé.»
«Un uomo si confonde, gradatamente, con la forma del suo destino;
un uomo è, alla lunga, ciò che lo determina.»
«Nel primo volume dei “Parerga und Paralipomena” (di Schopenhauer) rilessi che tutti i fatti che possono accadere ad un uomo, dall’istante della sua nascita a quello della sua morte, sono stati preordinati da lui.
Così, ogni negligenza è deliberata, ogni incontro casuale un appuntamento, ogni umiliazione una penitenza, ogni insuccesso una misteriosa vittoria, ogni morte un suicidio.»

-
Sull’Aleph:
«Disse che la casa gli era indispensabile per terminare il poema, perché in un angolo della cantina c’era un Aleph. Spiegò che un Aleph è uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti. […]
“Si, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli. Non rivelai a nessuno la mia scoperta ma vi tornai ancora…”.»
«Voglio aggiungere due osservazioni:
una, sulla natura dell’Aleph; l’altra sul suo nome.
Questo, com’è noto, corrisponde alla prima lettera dell’alfabeto della lingua sacra.
La sua applicazione all’ambito della mia storia non sembra casuale. Per la Cabala, quella lettera rappresenta l’En Soph, l’illimitata e pura divinità; fu anche detto che essa ha la figura d’un uomo che indica il cielo e la terra, per significare che il mondo inferiore è specchio e mappa del superiore.»
-
Sul linguaggio:
«Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gli interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l’infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia?
I mistici, in simili circostanze, son prodighi di emblemi: per significare la divinità un persiano parla di un uccello che in qualche modo è tutti gli uccelli; Alanus de Insulis, d’una sfera di cui il centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo; Ezechiele, di un angelo con quattro volti che si dirige contemporaneamente a Oriente e a Occidente, a Nord e a Sud.»
«Anche nei linguaggi umani non c’è proposizione che non implichi l’universo intero. […]
Considerai che nel linguaggio di un dio ogni parola deve enunciare questa infinita concatenazione dei fatti, e non in modo implicito ma esplicito, non progressivo ma immediato. […]
Un dio – riflettei – deve dire solo una parola, e in quella parola la pienezza.
Nessuna voce articolata da lui può essere inferiore all’universo o minore della somma del tempo.
Ombre o simulacri di quella voce che equivale a un linguaggio, sono le ambiziose e povere voci umane tutto, mondo, universo.»
« “Borges vede nella lingua”, scrive una studiosa americana, Helena Percas, “l’unico mezzo di cui dispone l’uomo per rivelare e fissare la sua verità umana; perciò essa è per lui una costante preoccupazione…
Egli vede nella parola il mezzo per carpire e limitare la vaghezza dell’emozione e dell’idea, cioè di darle realtà.” Parole queste che sembrano delineare un Borges classico, o tendente a un’arte consapevole e misurata, cioè classica; ma diciamo, come poc’anzi, umanistica.»
(Francesco Tentori Montalto)

-
Sull’esperienza del divino e del trascendente:
«Vuoi vedere cosa non vista da occhi umani?
Guarda la luna.
Vuoi udire cosa non udita da orecchio?
Ascolta il grido dell’uccello.
Vuoi toccare cosa non toccata da mano?
Tocca la terra.
In verità io dico che Dio deve ancora creare il mondo.»
«Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi.
[…] Come sarò il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo?
O sarà come me?»
Vidi il meccanismo dell’amore e la modificazione della morte.
«Per la via, per la scalinata della piazza della Costituzione, nella sotterranea, tutti i volti mi parvero familiari.
Temetti che non fosse rimasta una sola cosa capace di sorprendermi, temetti che non mi avrebbe più abbandonato quell’impressione di tornare a tutte le cose. Fortunatamente dopo alcune notti d’insonnia, mi vinse di nuovo l’oblio.»

«Allora avvenne quel che non posso dimenticare né comunicare. Avvenne l’unione con la divinità, con l’universo (non so se queste parole differiscono). L’estasi non ripete i suoi simboli; c’è chi ha visto Dio in una luce, c’è chi lo ha scorto in una spada o nei cerchi di una rosa.
Io vidi una Ruota altissima, che non stava avanti ai miei occhi né dietro né ai lati, a in ogni parte a un tempo.
Quella Ruota era fatta di acqua, ma anche di fuoco, e (benchè si vedesse il bordo) era infinita.
Intrecciate fra loro, la formavano tutte le cose che saranno, che sono e che furono, ed io ero uno dei fili di quella trama totale. […]
Lì erano le cause e gli effetti e mi bastava vedere quella Ruota per comprendere tutto, senza fine. Oh gioia di comprendere, maggiore di quella di operare o di sentire.
Vidi l’universo e vidi gl’intimi disegni dell’universo. Vidi le origini che narra il Libro della Tribù. Vidi le montagne che sorsero dall’acqua, vidi i primi uomini di legno, vidi i vasi che si ribellarono agli uomini, vidi i cani che lacerarono loro la faccia. Vidi il dio senza volto che sta dietro gli dèi.»

«Disse Tennyson che se potessimo comprendere un solo fiore sapremmo chi siamo e cos’è il mondo.
Forse volle dire che non c’è fatto, per umile che sia, che non racchiuda la storia universale e la sua infinita concatenazione di effetti e di cause. Forse volle dire che il mondo visibile è intero in ogni rappresentazione,
così come la volontà, secondo Schopenhauer, è intera in ogni individuo.
I cabalisti affermarono che l’uomo è un microcosmo, un simbolico specchio dell’universo;
secondo Tennyson, tutto lo sarebbe.»
«Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gli interlocutori condividono; come trasmettere agli altri l’infinito Aleph, che la mia timorosa memoria a stento abbraccia?
I mistici, in simili circostanze, son prodighi di emblemi: per significare la divinità un persiano parla di un uccello che in qualche modo è tutti gli uccelli; Alanus de Insulis, d’una sfera di cui il centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo; Ezechiele, di un angelo con quattro volti che si dirige contemporaneamente a Oriente e a Occidente, a Nord e a Sud.»
-
Citazioni varie:
«La casa è grande come il mondo. […]
Non compresi, finchè una visione notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti.
Tutto esiste molte volte, infinite volte…»
«Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che premedita un colore e una forma. Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.»
«Molte cose bisogna distruggere, per edificare il nuovo ordine.»
«Per essere liberi da un errore, possiamo aggiungere che è bene averlo professato.»
Forse nel mio volto era scritta la magia, forse io stesso ero il fine della mia ricerca.
«Egli soltanto avrebbe potuto immaginare che le stelle all’alba cadono lentamente,
come cadono le foglie degli alberi.»
«L’immagine che un solo uomo può formare non tocca nessuno.»
«Lasciava che su lui girassero i cieli, dal crepuscolo del giorno a quello della notte.»
«Scesi a terra, ricordai altre mattine, antichissime, trascorse anch’esse di fronte al Mar Rosso…»
«Una fiamma d’ultimo sole lo disegna»
La verità non penetra in un intelletto ribelle.
«Come tutti coloro che possiedono una biblioteca, Aureliano si sapeva colpevole di non conoscerla completamente; quella controversia gli permise di compiere un atto riparatore verso molti libri che parevano rimproverargli la sua negligenza.»
«E’ fama che non v’è generazione che non conti quattro uomini retti che segretamente sorreggono l’universo e lo giustificano davanti al Signore. […] Ma dove trovarli, se vivono sperduti per il mondo e anonimi e non si riconoscono quando si vedono e se neppure essi conoscono l’alto magistero che esercitano?»
«Una esaltazione dell’uomo moderno. “Lo evoco”, disse con inesplicabile animazione, “nel suo gabinetto di studio, come a dire nella torre di vedetta d’una città, munito di telefoni, di telegrafi, di fonografi, di apparecchi radiotelefonici e cinematografici, di lanterne magiche, di glossari, di orari, di prontuari, di bollettini…”
Osservò che per un uomo tanto fornito l’azione di viaggiare era inutile; il nostro secolo XX aveva capovolto la favola di Maometto e della montagna; le montagne, ora, venivano al moderno Maometto.»
« Beatriz, Beatriz Elena, Beatriz Elena Viterbo, Beatriz amata, Beatriz perduta per sempre, son io, sono Borges.»
FINE.

LEGGI ANCHE:
Una poesia di J.L.Borges: “Adesso arrivo al mio centro, alla mia algebra, presto saprò chi sono”