Ogni incontro che fai è un incontro con te stesso
(di Emanuele Casale)
Ho un semi-inconscio timore per le sempre più attuali ed esasperate “Psicologie dell’Altro”, delle “relazioni con l’Altro”.
Non negandone l’imprescindibilità sul piano sociale, psicoterapico e clinico, devo però dire che nella mia piccola esperienza sono arrivato ad una conclusione, che in realtà più che conclusione è un immenso e grande inizio:
Io non riesco a guardare l’Altro, se prima non l’ho guardato in me un Altro che mi abita.
L’Altro che mi viene da fuori è un Altro che abita dentro di me, che ancora non ho conosciuto, e fin quando non lo conosco dentro, allora conoscerlo fuori mi sarà sempre un pò difficile, seppure non del tutto impossibile. Non posso occuparmi dell’Altro da me fintanto che non mi sono occupato dell’Altro in me.
Non ci si conosce in base all’Io ma al Sè, a quel Sè straniero che è fondamentalmente nostro, che è lo stesso nostro ceppo da cui l’Io è sorto. (C.G.Jung – “La realtà dell’anima”)

In ognuno di noi abita un Altro, quell’Altro da noi che è dentro di noi, diceva Jung. È un Altro molto noto da secoli e millenni ai poeti, ai mistici, alla letteratura.
Così si esprimeva il grande poeta Derek Walcott, nella sua bellissima poesia “Amore dopo Amore”, come rivolto a questo “Io” straniero che da tutta una vita ci abita, è testimone:
Tempo verrà
in cui, con esultanza, saluterai te stesso
arrivato alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
e dirà: Siedi qui. Mangia.Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane.
Rendi il cuore a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro, che ti sa a memoria.Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola.

A volte mi sembra che questo focus attentivo verso l’Altro da sè, di una certa psicologia, sia l’ennesimo solito sotterfugio, l’ennesimo mancato riscatto della propria Ombra, un ripetersi storico del misconoscimento di Sé fatto passare invece come una presa di coscienza e di sviluppo che passa dall’Altro;
all’inizio magari vi è la sana premessa del potersi conoscere attraverso l’Altro – e ciò è pacifico, anzi, necessario! – ma per finire invece solamente di invischiarsi e rimanere bloccati, proiettati/identificati ancora e sempre sull’Altro.
Jung lo esprime bene quando scrive nel Libro Rosso (p. 367):
Non pochi sono quelli che amano gli altri per paura di se stessi.
In alcun modo questo articolo e queste righe vogliono sminuire la relazione con l’Altro giacché a vietarcelo per prima sarebbe la realtà psichica e la clinica stessa.
Anche la neuroscienza e la rivoluzione che Jung apportò alla clinica ci sottolineano l’imprescindibilità della relazione in ogni forma di cura, terapia e guarigione. Il cervello stesso sembra essere un organo sociale.
Lo stesso Jung affermava che il processo di individuazione passa necessariamente attraverso le relazioni ANCHE con gli altri al di fuori di noi.

Ricordava, nei suoi seminari sullo Zarathustra di Nietzsche, come sia impossibile un processo di individuazione in una persona isolata o ritirata in una caverna lontano dal mondo.
Il processo di individuazione passa necessariamente sempre dal “Tu”, essendo totalmente differente da forme di “individualismo”, esso è un processo che passa per il mondo, in mezzo agli altri, nel mondo così com’è, nell’incontro/scontro con gli Altri fuori da me…
Ma Andrew Samuels ci ricorda che su questo tema Jung, come in tante altre questioni, dava sì importanza al fattore relazionale tra individui, non negandone assolutamente l’imprescindibilità, ma al tempo stesso:
“(…) mi sembra di riconoscere che il carattere delle idee di Jung sull’individuazione 🔎 dà molta più importanza al dialogo del soggetto con l’inconscio collettivo che a quello con gli altri.”
Se la relazione è il luogo dove si giocano le possibilità più preziose di conoscenza di se stessi attraverso l’Altro, il luogo indispensabile per il processo di individuazione, resta e resterà sempre, al tempo stesso, ANCHE il luogo dalle molteplici possibilità per scappare da sé attraverso l’Altro, inconsciamente o meno, resterà sempre anche il luogo delle proiezioni più nucleari della propria personalità e di cui difficilmente vengono ritirate grazie ad un serio lavoro psicologico.

Quante persone rimangono attaccate una vita intera dietro problemi e congetture che si creano sugli altri, su ex partners, colleghi, amici e altri, e altri, altri altri e ancora… e loro? Dove sono loro stessi? Si scappa, semplicemente… alibi per scappare ancora.
Se non ci si rende conto che tramite l’Altro arriviamo a noi stessi, si rimane sempre bloccati sull’ “oggetto”, sull’Altro, e per quanti “Altri” potremo conoscere e con cui intrattenere relazioni, se manca il riconoscimento della propria anima tramite l’Altro, sentiremo sempre l’infinito deserto della solitudine.
È proprio qui che si gioca la cifra più importante delle relazioni umane ed è proprio questo passaggio a cui aspira questo articolo: è qui il sottile confine tra il vivere gli Altri da me come rifugi nevrotici che mi allontanano da me stesso, e il vivere gli Altri come totalmente Altri ma che al tempo stesso posso vivere anche come simboli della mia anima.
Ciò è possibile solo grazie a quella che Jung definitiva un atteggiamento della coscienza simbolica.
Una parte necessaria all’integrazione della personalità è quella che la Von Franz chiamava “raccoglimento interiore”, che segue al fenomeno di ritiro delle proiezioni 🔎, e questa fase necessità di forte solitudine, di tempo, di osservazione, silenzio, riflessione, ampi spazi. Qui si gioca la partita in un altro campo, in un altro tipo di relazione, anch’essa necessaria e spesso prioritaria: quella con se stessi e il proprio mondo interiore.
A seconda dei differenti “Tipi psicologici” e delle funzioni indifferenziate della coscienza ci sarà un atteggiamento diverso da individuo a individuo nel riuscire a portare avanti quest’opera su di sé, per sé, e quindi realmente per gli altri.
📝 Approfondisci il tema qui: Cosa sono le proiezioni in psicologia?

La demonizzazione dell’Altro “cattivo”. Gli articoli pseudoscientifici sull’Altro che girano nel web.
Non è un caso che spesso leggiamo, soprattutto nella rete web italiana, quei maleodoranti articoli – spesso scritti neanche da psicologi – su argomenti triti e ritriti come
“Le relazioni narcisistiche”, “Come capire l’altro nella coppia”, “Come cambiare l’Altro”, “Come difendersi dagli Altri-Narcisistici”, “Perchè il Narcisista/Borderline ci fa questo o quell’altro?”, “Come riconoscere un Manipolatore”, “Come difendersi dai vampiri psichici”, ecc ecc.
Ecco, come si è potuto notare spesso i soggetti protagonisti più amati di questi articoli sono proprio i “narcisisti” o i “borderline”, personalità o disturbi o quadri diagnostici in realtà molto ben più complessi e generalmente del tutto lontani dall’immagine che questi articoli idioti ne danno.
Altri nomi-simbolo che vanno molto di moda, ricordiamolo, sono anche i cosiddetti “vampiri psichici”, o i famosissimi e amati (e poi odiati!) “manipolatori emotivi”, che poi secondo gli autori di suddetti articoli spesso rovinano universi interi con l’immancabile e sempiterna “dipendenza Affettiva” che creano nella relazione.
Li conoscete tutti questi personaggi, no? Chi non ha mai avuto un partner da demonizzare di tal natura? Che vita sarebbe senza? 😀
Stiamo parlando della stessa psicologia troppo relazionale incentrata sull’Altro da sè. Il gioco è lo stesso. Concentrarsi sull’altro pur di non approfondire minimamente il proprio mondo interiore, o comprendere che SE abbiamo a che fare sempre e soltanto con reali o pseudo manipolatori, borderline o narcisisti, è forse perché inconsciamente abbiamo una qualche dinamica che ci riporta tali personaggi, che li attira, che a loro volta simbolicamente portano un messaggio per noi che è inconscio.
«Pochi sembrano accorgersi che gli altri sono loro.» (C.G.Jung – Lettere 3, p.181)
È ancora Jung che ci parla dell’Altro come simbolo/specchio di una parte di noi stessi:
«Devo imparare che dietro a ogni cosa da ultimo c’è l’anima mia, e se viaggio per il mondo ciò accade in fondo per trovare la mia anima. Perfino le persone più care non sono la meta e il fine della ricerca d’amore, ma simbolo della nostra anima.» (Jung – dal Libro Rosso)
Ed ecco che spesso la subcultura psicologica che gira sul web ci lascia sempre questi soliti messaggi demonizzanti/evitanti/di rifiuto sull’Altro, sugli Altri.
Una sub-cultura propinata fin troppo spesso – ahimè! – da psicologi a cui manca qualche paziente di troppo, e che quindi devono farsi conoscere attraverso la rete con qualche articolo-pop che va a colludere con le principali ferite emotive di grossa parte della popolazione.
Cari lettori, voglio dirvi che quando arriverà il giorno in cui deciderò di scrivere un articolo del genere qui nel JungItalia, mi raccomando, cancellatevi con onore da questo blog, inviatemi email di insulto, imprecatemi, e soprattutto segnalatemi a Google con questa motivazione:
“ennesimo cazzaro che scrive menate sui Manipol-Narcist-Borderl-Vampir-blablablabla!”
Conclusione. Ritornando al tema “Relazione”
Si fa di tutto, anche le cose più strane, pur di sfuggire alla propria anima. (C.G. Jung)
Possiamo concludere il discorso guardando in un’ottica più archetipica e più psicologica verso questa dinamica che si cela dietro le psicologie troppo relazionali.
Possiamo scorgere dietro le quinte, ribadiamolo, un evitare ancora e sempre il deserto inevitabile – ma indispensabile – che porta a Sé e, soltanto POI, all’Altro fuori da me, ma questa volta per davvero!
L’uomo che percorre il deserto interiore incontrando la propria Ombra – e solo così anche il proprio tesoro – è un mitologema universale, che culturalmente è molto vicino a noi in quanto lo ritroviamo nella figura di Gesù Cristo, lo stesso Cristo che ebbe a dire
“non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera…”.
Un Cristo che qui sembra tutt’altro che un perseguitore o fan sfegatato delle psicologie relazioni incentrate sull’Altro. Hanna Wolff (1975), in riferimento al passo del Vangelo di Matteo sopra riportato, scrive:
“Per quanto possa suonare presuntuoso, solo la psicologia del profondo può capirlo fino in fondo. In effetti Gesù ‘scioglie da’, ‘divide dal’ collettivo della famiglia. Egli dissolve la ingenua ‘participation mystique’, affinchè possano venire alla luce individui singoli, indipendenti e responsabili.”
(in Carotenuto, dal libro “Amare Tradire”)

Sembra davvero che, in ultima analisi, e ancora e sempre, la strada che porta ad farci sentire più vicini – in senso umano, psicologico, spirituale – agli altri esseri umani, sia paradossalmente parallela alla strada dell’individuazione, che passa inevitabilmente anche da un deserto che a molti fa paura.
Poeticamente potrei dirlo con queste parole:
“Devo attraversare il deserto della mia solitudine che costituisce ogni singolo individuo, trovare qui le mie carogne insieme ai miei più preziosi tesori, per poter arrivare – ancora una volta – nel mondo e poter Amare davvero gli altri.”
Finisco citando il filosofo dei nostri giorni Umberto Galimberti che ci ricorda, attraverso echi junghiani che:
“diventare se stessi, come dice Jung “individuarsi”, significa non arroccarsi nella propria identità egoica ma aprirsi al Sè, ossia a quell’altro da noi che è dentro di noi.”
FINE.
ARTICOLI sullo stesso tema:
Per arrivare a comprendere l’Altro, impariamo a vedere prima noi stessi e le proprie tenebre
- Nelle relazioni è fondamentale accettare e abbracciare la diversità/alterità dell’altro. (Eldo Stellucci; Emanuele Casale)
- Accogli l’Altro da te che è in te. L’Altro sei anche tu. (dal Libro Rosso di Jung)
Libri consigliati sulla relazione e sul tema:





L’ha ribloggato su LibereStrategiee ha commentato:
!!!
Non riesco a generalizzare la mia esperienza, ma se dovessi trovare le parole sarebbero le tue. Condivido il contenuto dell’articolo, in particolare quando si fa riferimento all’eccessivo ricorso ad incolpare gli altri per la propria situazione in un determinato momento di vita! grazie non mi dilungo nel commento perchè non saprei cos’altro aggiungere. quel che dici risuona con il mio pensiero.
Nella relazione con l’altro si scorge se stessi e per comprendere l’altro egli deve poter scendere in noi ed essere interpretato ed ancor prima scisso da noi.
Esiste anche il fallimento della psicologia per difetto di relazione!
Buon Lavoro
Giorgio Del Sole
Condivido interamente l’intero contenuto dell’articolo. La Rete pullula di semplicistici libretti di istruzioni per difendersi da queste trappole relazionali tanto in voga: vi sono puntuali decaloghi per disfarsi del vampiro affettivo trafuga-certezze, manuali di sopravvivenza al manipolatore scippatore di autostima e accurate diete per digerire i chili di insicurezze accumulati a causa di questi predoni di buoni sentimenti. Un’informazione distorta e pericolosa che se da un lato legittima la colpevolizzazione tout court dell’altro anziché promuovere una sana e faticosa riflessione, dall’altro facilita l’abuso di etichette diagnostiche per definire comportamenti che, quand’anche riprovevoli e inopportuni, in molti casi nulla hanno a che vedere con intenti manipolativi o quadri personologici borderline sottostanti.
Quando finisce una relazione sentimentale, soprattutto se è stata burrascosa, è necessario tanto elaborare il lutto, quanto prendere coscienza del proprio “contributo” per eludere il rischio di riproporre i medesimi copioni comportamentali nelle relazioni successive. In alternativa si può perseverare ad attribuire la colpa al partner, scegliendo di restare impantanati nelle sabbie mobili della propria rabbia e rintracciando sterili conferme delle proprie ragioni nell’eco delle proprie stesse parole. Restando impigliati nella “Rete” di altri “vampiri” che cavalcano l’onda dell’altrui sofferenza alla ricerca di Like che gratifichino i propri bisogni narcisistici e di banconote che appaghino quelli del proprio conto corrente.
Individuarsi è dunque aver attraversato il deserto e poi allo sfinimento trovare dell’acqua? Grazie delle riflessioni
Emanuele ti rinnovo i complimenti per il tuo stile di scrittura: mi piace molto il tuo “spaziare” da un autore all’altro, con molte citazioni e con il prezioso sfondo delle alte riflessioni junghiane. Sono d’accordo con te: l’ignoranza profonda e strutturale, la mediocrità di tanti “autori” presenti nel Web crea “mode” facili, in cui l’obiettivo è, di volta in volta, la “lamentela generalizzata con individuazione del capro espiatorio di turno” (narcisisti, ecc.) e l’autoincensarsi, la vuota e dannosa presunzione di chi dovrebbe solo pensare a studiare, a leggere, a informarsi e invece si erge a maestro. Questo è noto. Non condivido però la tua rabbia, perché (e qui credo di esprimermi “junghianamente”) ogni tipo di espressione è interessante, dal momento che può diventare oggetto di un’elaborazione/riflessione come la tua. La frase che amo ripetere nella mia vita è: ognuno agisce, pensa, si muove sempre secondo le proprie risorse! E così anche il vecchio detto popolare “il mondo è bello perché è vario” acquista uno spessore inusitato. Per tornare al tema centrale del tuo bell’articolo, l’idea dell’Altro come specchio di sé mi sembra giusta e sempre molto feconda. Credo sia impossibile uscire dalla complessa e affascinante dialettica relazione/solitudine quando si parla di crescita individuale. E qui la frase più eloquente e profonda che mi viene in mente è di Jung e l’ho trovata sulla tua pagina Fb, Emanuele: “Devono arrivarti ancora altri fuochi finché tu non abbia accettato la tua solitudine e imparato ad amare”. Accettare la propria solitudine e essere capaci di amare sono due cose inscindibili: non si dà una senza l’altra. Quello che viene insegnato nella nostra cultura non è amore, ma dipendenza. Grazie ancora, davvero, per le belle opportunità di riflessione che tu offri.
Grazie a te Anma, e interessante amplificazione la tua. Non preoccuparti nessuna rabbia, mi diverto solo ogni tanto, la mia categoria purtroppo vanta di tanti pseudo professionisti che fanno cadere le braccia e siccome sono anche molto permalosi, io da studente ingrato e dispettoso, mi diverto ogni tanto a riportare qualche esperienza e qualche bibliografia che gli ricordi un po alle volte cos’è la psicologia. Sono ancora molti, troppi, i professionisti che di Jung non conoscono neanche l’abc ma molti ancora quelli che si permettono di deviarlo e proiettare sui suoi contributi le cose piu strambe e complessuali che in realtà appartengono soltanto a loro
Grazie ancora!
Grazie. In questo. Periodo sto lavorando sull altro. Grazie. Ancora…
grazie Emanuele. Ho assaporato spesso una dolcezza amarognola nel contatto con l’altro – fuori da me – nei tentativi annaspanti di evitare accuratamente l’incontro con l’Altro nel mio deserto. Ho apprezzato molto il tuo articolo, notando il peso differente con cui usi le parole, e mi è sembrato come di ascoltare un pianista, che riesce, modulando il peso nelle dita, a suonare melodie ricche. Grazie.
Condivido quasi tutto l’articolo. L’unica cosa che non ho capito è questa. Quando ad un certo punto scrivi, rivolgendoti ai seguaci di una certa psicologia spicciola: significa che nel caso si verifichi la condizione citata, noi dovremmo insultare ed imprecare contro un’altra persona, che in realtà è specchio di noi stessi e quindi staremmo rinnegando una parte di noi che vuole comunicarci qualcosa invece di relazionarci comunque con essa per capire cosa vuole comunicarci ?
Proprio questa mattina riflettevo su quante persone che condividono articoli di “allerta psicologica” siano realmente in grado di leggerli consapevolmente
Il mito della caverna di Platone