UN INSEGNANTE QUASI PERFETTO.
Ascoltare la relazione per crescere insieme
(di Filippo Pergola)
Una delle ragioni principali della resistenza a comprendere,
deriva proprio dalla paura del cambiamento:
se veramente mi permetto di capire un’altra persona,
posso essere cambiato da quanto comprendo.
(Rogers, 1985)
Ognuno di noi è costituito da una rete di rapporti inconsci che ne influenzano l’esistenza (e che lui stesso contribuisce ad influenzare).
Una rete che si estende in due direzioni: una verticale (che comprende la storia relazionale passata) vi e l’altra orizzontale (che comprende le relazioni attuali).

Relazionarsi con un individuo vuol dire, quindi, entrare a far parte, e in certo senso reagire (a livelli più o meno consapevoli), con la rete transpersonale nella quale egli è da sempre ingaggiato in un dialogo inconscio.

L’identità è frutto di un’incessante dialogo inconscio tra l’essere lo stesso (alla rete antropologica identificatoria) e l’essere se stesso.
Secondo Jung, l’insegnante, come educatore,
deve essere lui stesso una persona retta e sana, poiché questo, cioè il buon esempio, è il metodo didattico migliore.
Jung suggeriva agli insegnanti, più di mezzo secolo fa, di formarsi e aumentare il proprio livello di autoconsapevolezza, conscio com’era che l’allievo impara, prima di tutto, imitando, cioè identificandosi con i modelli importanti della propria vita e ben sapendo che la comunicazione tra insegnante e allievo, come quella tra qualunque persona, avviene per lo più a livello inconscio, ossia per ciò che non viene detto più che per ciò che viene verbalizzato.
Non si tratta quindi, come insegnante, d’imparare a comunicare con l’allievo, ma occorre imparare ad essere un bravo adulto, una “persona retta e sana”.
Oggi la formazione degli insegnanti è piuttosto ricca di offerte, ma subisce spesso alcune eccessive specializzazioni e tecnicismi che depauperano il senso autentico di una formazione della coscienza dell’insegnante.
Dietro alle sigle che individuano specifici disturbi evolutivi, o alle tecniche utili per affrontare questi disturbi, c’è sempre la relazione insegnante-bambino, che su un piano psichico va al di là delle prescrizioni comportamentali.
Allora ecco la nostra visione sovversiva che parte dalla decodifica del teatro dell’inconscio a scuola.
Se riusciremo a navigare sui fiumi carsici dei messaggi inconsci che compongono le relazioni, l’incontro nel gruppo classe può divenire occasione affinché l’insegnante comprenda se stesso e, viceversa, l’insegnante diventerà l’occasione perché l’allievo conosca se stesso.
Ogni incontro che facciamo è un incontro con noi stessi; pochi sembrano accorgersi che gli altri sono loro stessi (Jung).
Ancora Jung scrive che
L’incontro di due persone è come il contatto tra due sostanze chimiche; se c’è una qualche reazione, entrambi ne vengono trasformati.
La relazione è il luogo ove sorgono i disturbi, perciò solo in essa e attraverso di essa possono essere risolti, condividendo la narrazione delle proprie storie, ascoltando le emozioni e ricercando nuovi significati, si potrà crescere insieme.
La nostra visione diventerà chiara solo quando guarderemo attraverso il nostro cuore.
Chi guarda all’esterno, a livello di logica cognitivo-comportamentale, sogna. Chi guarda all’interno, apre gli occhi.

E l’educazione è cosa di cuore, il quale batte per udire e che ascoltando vedrà; non servono ricette precostituite:
La scarpa che sta bene ad una persona sta stretta a un’altra (Jung)
Per risolvere situazioni di impasse, e uscire dal “cul de sac” dei conflitti educativi, l’insegnante occorre compia il viaggio più difficile e affascinante di un essere umano: quello che lo conduce dentro sé stesso alla scoperta di chi veramente egli è.
Solo allora potrà utilizzare la propria stessa mente come straordinario strumento di lavoro, operando trasformazioni attraverso la relazione emotivo-affettiva: pensiero e azione infatti non sono che sintomi dell’affettività, la quale è il fondamento della personalità.
A conclusione, caro lettore, permettimi di darti del tu e di rivolgerti, parafrasando Jung, un ultimo stimolo: ora sai quello che c’è da sapere, ma sarà vano non se vivi tutto quello che c’è da vivere, che si esprime soltanto nella trasformazione delle relazioni umane, le quali non possono essere sostituite nemmeno dalle più profonde conoscenze.
Un libro per apprendere dall’esperienza emotiva a pensare con il cuore, per giungere a sentire diversamente:
Il cuore batte solo per udire. Ascoltando, vedrà. (Souzenelle, 2010)
“Comprendere se stesso e comprendere l’altro è un’esperienza trasformante possibile attraverso l’ascolto della mente, lo strumento più difficile da far suonare. Eppure, quando una persona capisce di essere sentita profondamente, i suoi occhi si riempiono di lacrime. Io credo che in un senso molto reale, pianga di gioia; è come se stesse ringraziando Dio e dicendo: «Qualcuno mi ascolta e così sa cosa vuol dire essere me»” (Rogers, 1985)
Il volume è rivolto non solo agli insegnanti, ma anche agli allievi, ai genitori, agli educatori di comunità e agli assistenti sociali, con l’auspicio che l’apporto dell’ermeneutica psicoanalitica e gruppoanalitica possa esser di supporto alla propria insostituibile attività pedagogica.
Insomma a tutti coloro che cambiano il mondo un bambino (o un adolescente) alla volta!
FINE.

NOTE sull’AUTORE:
Filippo Pergola, è Psicoterapeuta e Analista Individuale e di Gruppo; docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Roma Tor Vergata e Psicologia Clinica presso varie Scuole di Specializzazione in Psicoterapia
Ma vale anche per chi piu’ bambino e adolescente non lo e’ piu? Io mi sento forse ancora un bambino, pur avendo 53 anni. Ho ancora molto da imparare per star meglio con me stesso e gli altri