Gruppoanalisi e Psicodramma: Clinica del Transgenerazionale. Vincolo, Appartenenza, Legame.
Se è la prima volta che ti imbatti nel termine psicodramma, ti lascio qui un breve post che in breve ti da un’idea di cosa è lo psicodramma ⬅
Altrimenti se già sai cos’è puoi continuare a leggere.
Ti presenterò di seguito cos’è il tanto famoso tema del “transgenerazionale” in psicologia e ovviamente troverai anche la descrizione del workshop e le info utili per iscriverti:
PS: ISCRIZIONI FINO AL 14 GENNAIO con PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA! (da formalizzare e prenotare scrivendo a questo indirizzo: psicodrammanaliticopa@gmail.co
m) Alla fine dell’articolo troverai il LUOGO del workshop, DA CHI È ORGANIZZATO, e A CHI È RIVOLTO!
💲 Per INFO e COSTI su pernottamento, pasti e workshop contattare via email (psicodrammanaliticopa@gmail.com).
SCONTO PER STUDENTI !!!
Ti presento (e ti invito) al workshop di psicodramma analitico sul transgenerazionale organizzato dalla scuola di specializzazione in psicoterapia PolisAnalisi e dall’associazione APRE.
Il gioco psicodrammatico all’interno di una matrice gruppale, ci consentirà attraverso il lavoro sul Transgenerazionale, di aprirci ai messaggi e ai compiti ereditati dai nostri antenati, lasciti che continuano ad agire e a portar frutto nelle nostre vite, talvolta come fantasmi inquieti in cerca di visibilità e accoglienza…

TEMA DEL WORKSHOP (estratti scelti sul tema)
(a cura di Leonardo Seidita)
L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. (G. Gaber)
Jung e il transgenerazionale
“Non v’è nulla che abbia un influsso psichico più forte sull’ambiente circostante, e in special modo sui figli, che la vita non vissuta dei genitori.” (C. G. Jung, 1929, “Paracelsus”)
Così rifletteva Jung verso la fine della sua vita scrivendo quanto segue nella sua autobiografia 🔎:
“Spesso sembra che vi sia in una famiglia un karma impersonale che passa dai genitori ai figli. Mi è sempre sembrato di dover rispondere a problemi che il destino aveva posto ai miei antenati e che non avevano ancora avuto risposta, o di dovere portare a compimento, o anche soltanto continuare cose che le età precedenti avevano lasciato incompiute”
Pochi sanno che nel 1909, in una conferenza alla Clark University, Jung riprese una parte della ricerca condotta con una sua allieva.
Lo studio, incluso nelle Opere con il titolo “La costellazione familiare” tratta di una delle applicazioni del Test delle Associazioni Verbali. Jung e la Furst somministrarono il test a tutti i membri di ventiquattro famiglie.
I risultati dimostrarono che le differenze tra i modelli di risposta dei membri individuali di una famiglia non erano causali, bensì si presentavano in modo regolare e prevedibile.

La ricerca segnalava che all’interno delle famiglie esisterebbero determinate formazioni che sono delle “strutture organizzatrici condivise collettivamente” che influenzano le modalità con cui i membri della famiglia strutturano le proprie percezioni, il proprio sapere, i propri rapporti e le proprie realtà generali psicologiche.
Questi risultati hanno un’enorme importanza perché “scoprendo i modelli della strutturazione logico-linguistica all’interno delle famiglie, Jung aveva scoperto sia l’interconnessione intrapsichica all’interno delle famiglie che i vari sottogruppi e sottosistemi” (Papadopoulos, 1996).
Per caso Jung s’imbatté, in questa ricerca, nel fenomeno delle “strutture inconsce condivise”, cui in seguito avrebbe dato il nome di “inconscio collettivo”.
“L’uomo è in possesso di molte cose che non ha mai acquisito, ma che ha ereditato dai suoi antenati.
Il bambino alla nascita, non è una tabula rasa ma ha in sé tutto il patrimonio archetipico che verrà costellato in rapporto alle figure incontrate nella realtà concreta.
[ 🔎 Leggi anche: Alcune malattie prendono il nome di FAMIGLIA. Differenziarsi da nodi e cerchie familiari ]
Le prime costellazioni archetipiche a essere attivate fin dalla nascita, dall’incontro del bambino con i suoi genitori, sono quelle materna e paterna che sono il risultato di milioni di anni di evoluzione umana.” (C. G. Jung, 1909/1949, “L’importanza del padre nel destino dell’individuo”)
A fianco di questi contenuti personali ne esistono altri che non sono stati acquisiti; provengono dalle possibilità congenite del funzionamento psichico in generale, in particolare dalla struttura ereditata del cervello […]
Io definisco questi contenuti dicendo che sono l’inconscio collettivo.”
(C.G. Jung, “Tipi psicologici“)

“Mentre stavo lavorando per scolpire le lastre di pietra, mi resi conto dei legami fatali che mi univano ai miei avi.
Ho la netta impressione di essere sotto l’influenza di cose o problemi che furono lasciati incompiuti o senza risposta dai miei genitori, dai miei nonni, e anche dai miei più remoti antenati.
Spesso sembra che ci sia in una famiglia un karma impersonale che si trasmette dai genitori ai figli.
Mi è sempre sembrato di dover rispondere a problemi che il destino aveva posto ai miei antenati e che non avevano ancora avuto risposta, o di dover portare a conclusione, o anche soltanto continuare, cose che le età precedenti avevano lasciato incompiute.
È difficoltoso determinare se questi problemi siano di natura personale o piuttosto generale, collettiva. Io, propendo per la seconda alternativa. Un problema collettivo, finché non è riconosciuto come tale, si pone sempre come un problema personale, e in taluni casi può dare l’impressione sbagliata che qualcosa non sia in ordine nel dominio della psiche personale.
In effetti la sfera personale ne è disturbata, ma disturbi del genere non devono necessariamente essere primari, possono assolutamente essere secondari e conseguenza di un mutamento intollerabile nell’atmosfera sociale.
La causa del disturbo è quindi in quei casi da ricercarsi piuttosto nella situazione collettiva che non nell’ambiente personale. La psicoterapia non ha sinora tenuto conto di questa circostanza.”
(C.G.Jung – Ricordi, sogni, riflessioni)

“Sembra che Paracelso abbia derivato il suo carattere più dal padre Sole e dalla madre Terra, che non dai suoi genitori carnali. Infatti, almeno per parte di padre, egli non era svizzero ma svevo; suo padre, Wilhelm Bombast, era figlio illegittimo di Georg Bombast von Hohenheim, Gran Maestro dell’ordine dei Giovanniti.
Ma per quanto riguarda il carattere, Paracelso, che era nato entro la cerchia alpina, nel grembo di una terra possente la quale, malgrado le sue origini, lo adottò come figlio, venne al mondo come svizzero, secondo la legge del “fattore della disposizione locale”.
La madre era originaria di Einsiedeln; ma ignoriamo quali influssi ella poté avere sul ragazzo. Il padre, invece, presentava una natura problematica. Era immigrato in qualità di medico ed era andato a stabilirsi in quella gola, a “casa del diavolo”, sulla via dei pellegrini.
Chi lo autorizzava, lui figlio naturale, a portare il cognome nobiliare del padre? È facile intuire la tragedia psichica del figlio illegittimo: cupo e solitario fuorilegge che, colmo di risentimento per la sua patria, si riduce a isolarsi nel folto della valle boscosa e tuttavia, con malcelata avidità, dai pellegrini di passaggio riceve notizie sul mondo esterno cui egli non farà più ritorno.
La vita nobiliare e il vasto mondo gli restano ancora nel sangue; ma vi sono anche sepolti. Non v’è nulla che abbia un influsso psichico più forte sull’ambiente circostante, e in special modo sui figli, che la vita non vissuta dei genitori.” (C. G. Jung, 1929)

Transgenerazionale in psicologia
“La relazionalità è il fulcro e l’origine stessa della vita psichica dell’individuo, che in tal senso è concettualizzabile come “nodal point” di più ampie reti gruppali che lo sostanziano, intenzionandolo ancor prima del suo venire al mondo, e che lui stesso a sua volta contribuisce a plasmare ed orientare.
In quanto humus della vita psico-fisica dell’essere umano, la dimensione relazionale sembra permeare l’esistenza dell’uomo lungo due direttrici spazio-temporali complementari, distinte ma in reciproca connessione, riverberandosi l’una nel manifestarsi dell’altra:
attraversando il tempo, sincronicamente al dispiegarsi della vita del singolo e delle generazioni passate, essa porta con sé l’eredità di “Parlanti Interni“, aprendo le porte ad intenzionamenti fantasmatici ed inconsci;
al contempo, investe l’individuo nella concretezza del suo “essere con” l’altro dell’incontro attuale, accompagnandolo verso nuovi e fecondi campi psico-antropo-relazionali.
Pertanto, superando modelli individualistici e dicotomie riduttivistiche, l’alterità è intesa a fondamento dell’identità perché la natura relazionale dell’uomo trascende il concreto scambio fra le persone, essendone la loro matrice originaria costitutiva e, conseguentemente, inconscia e transpersonale.” (P. Cavani)
Ho riflettuto molte volte sulla nostra intensa ricerca. Mi ha dimostrato che ogni cosa è illuminata dalla luce del passato. È sempre al nostro lato, all’interno, che guarda fuori. Come dici tu, alla rovescia. Jonfen, in questo modo, io sarò sempre al lato della tua vita. E tu sarai sempre al lato della mia. (J. Safran Foer, 2002, “Ogni cosa è illuminata“)
“Ci spostiamo in una temporalità in cui coloro che ci hanno preceduto possono essere pensati da noi come soggetti davanti ad un avvenire e non solo come causa del nostro presente […]
Questa rivoluzione per il pensiero si scontra con un paradosso: si tratta di concepire allo stesso tempo il passato come il futuro di questo altro che mi precede, e il futuro come ciò che sarà diventato il passato per questo altro che io non sono e che mi succede e il cui futuro contribuisco a formare.” (R. Kaes, “Il futuro in eredità”, in “Paura del futuro”, Borla 2005)

“Non esiste un “nuovo” che sia origine di sé stesso, siamo originati, creati; la nostra nascita rappresenta solo un minuscolo anello della catena infinita delle generazioni, che non conosciamo e che tende, in maniera quasi naturale, alla ripetizione.” (M. Porot)
“Se possiamo definire schematicamente il ruolo della famiglia, possiamo dire che è quello di dare speranza alle nuove generazioni nel futuro che le attende.” (Meltzer)
“Ci sono certe famiglie, dove la figlia più grande prende il ruolo della madre, e dove la madre, esausta dalla fatica per le troppe numerose nascite di bambini, malata davvero o ritenendosi malata, si fa sorreggere, aiutare e sostenere da sua figlia, la quale non si sposerà mai.” (I. Boszormenyi-Nagy)
“Ogni famiglia è quindi caratterizzata da una particolare cultura che affonda le radici nella sua storia e in quella delle generazioni precedenti.
L’interazione con questa cultura (o matrice) familiare e il mondo interno del bambino determina lo sviluppo di quella trama relazionale chiamata da Foulkes “matrice personale” proprio per definire il concetto di fondazione culturale della mente.
Tale matrice si costituisce quindi come un polo identificatorio della mente umana: in questo senso la mente è sostanzialmente gruppale.” (Nucara G., Menarini R. Pontati C., 1993)
“Speriamo che non sia cattiva come nonna Agata”, “Drogata come nostra cugina”, “Puttana come la zia”, “Infedele come la nonna Ernestina”, “Speriamo che non sia un alcolizzato come il nonno Arturo”, “Omosessuale come lo zio Pietro”, “Fannullone e donnaiolo come il nonno paterno”. (A. Jodorowsky)

“Il sintomo psichiatrico si configura come conseguenza della non avvenuta trasformazione dei temi culturali in eventi simbolici (aventi un significato) all’interno del pensiero;
queste mancate elaborazioni possono essere definiti “buchi di significato”, per sottolinearne la specificità di condensati di pensiero transgenerazionale non simbolizzabili.
In quest’ottica la psicopatologia è visualizzabile come la conseguenza di un fallimento della matrice familiare nella sua funzione di spazio transizionale; come mancata trasformazione significativa della storia delle generazioni precedenti: in tal caso parliamo di “matrice familiare satura”. (Nucara G., Menarini R. Pontati C., 1993)
“Se imparassimo a comprendere meglio ad ascoltare e vedere le ripetizioni e le coincidenze l’esistenza di ciascuno diventerebbe più chiara.
Siamo in fondo meno liberi di quanto crediamo. Pertanto possiamo riconquistare la nostra libertà e svincolarci dalla ripetizione capendo ciò che accade.
Possiamo così vivere la nostra vita e non quella dei nostri genitori o nonni o di qualche ‘fantasma’ del passato che ‘vuole’ attraverso noi continuare a vivere. Che la nostra vita sia l’espressione del nostro autentico essere. È questo in fondo il lavoro psicologico.”
(A. A. Schutzenberger)

“Lo Psicodramma Transgenerazionale lavora con l’inconscio della famiglia e utilizza il concetto di co-inconscio per comprendere quelli che vengono chiamati “legami transgenerazionali”.
Il co-inconscio è connesso ai “compiti non finiti”, cioè a quella catena di traumi, dolori e “ferite dell’amore” che si perpetuano nelle famiglie finché il loro significato non viene chiarito.
Essi costituiscono “i legami di lealtà invisibili”, sono legami di natura psicologica verso persone appartenenti a generazioni precedenti con le quali persistono “situazioni non concluse” o eventi traumatici.
Le generazioni successive tenderanno a ripetere il “copione della vita” di queste persone o familiari, reiterando inconsciamente il medesimo modello senza nemmeno conoscere il trauma originale , molto spesso un “segreto di famiglia”.
L’acquisita consapevolezza dell’esistenza di una costellazione forte ed inconsapevole per la storia della famiglia e dei conseguenti “legami di lealtà invisibili” libera l’individuo dalla ripetizione compulsiva dei modelli relazionali ed apre ad una possibilità di vita autentica.
L’obiettivo dello Psicodramma Transgenerazionale è quello di sciogliere gli invisibili legami di lealtà e i “copioni” lasciati da generazioni precedenti, rendendoli espliciti e liberando l’energia psichica in essi incistata.”
(M. Maciel)

Transgenerazionale e Trauma
Ogni trauma vissuto da una persona come dramma, e non risolto se non solo sul piano dell’oblio, si trasmette a livello inconscio di generazione in generazione.
Nicolas Abraham e Maria Torok hanno contribuito molto a chiarire questo meccanismo tramite il concetto di “fantasma transgenerazionale”: esiste in ogni famiglia una specie di cripta inconscia in cui viene sepolto un segreto inconfessabile, e tale segreto origina un “fantasma” che si installa presso un discendente.
Questa cripta e il relativo fantasma che ne trae origine sono legati a dei veri e propri segreti di famiglia, i quali nascono da eventi traumatici che il risentito preferisce tacere, obliare, nascondere definitivamente (nella maggior parte dei casi si tratta di disonori, di vergogne, di eventi vissuti traumaticamente).
Nicolas Abraham e Maria Torok (“La scorza e il nocciolo”, 1993) hanno elaborato la loro teoria del fantasma a partire dall’analisi di alcuni pazienti che erano assolutamente convinti di aver compiuto un certo tipo di azioni, quando invece non avevano fatto assolutamente niente.
A partire da ciò, essi hanno ipotizzato che questo comportamento fosse in relazione alla presenza di un “fantasma psicogenealogico” che agiva e parlava in loro vece:
“È come se tale fantasma uscisse dalla tomba mal chiusa di un antenato dopo una morte difficile da accettare, o di un avvenimento di cui si ha vergogna, o da una situazione difficile per la famiglia, qualcosa di molto cattivo, di sciocco, di losco, di non buono per la mentalità dell’epoca.”
Nei casi presi in considerazione da Abraham e Torok, tutto avveniva come se un membro della famiglia conoscesse ciò che mai era stato detto e trasmesso esplicitamente, come se ci fosse un segreto di cui egli era il solo detentore.
Il segreto che non si può violare è sempre il segreto di un genitore, di un nonno o di un bisnonno, relativo a una perdita, a un’ingiustizia reale o vissuta come tale.
Ma è proprio nascondendo questo trauma emozionale che non si può dire, che non ha più un proprio luogo, che esso si installa in maniera definitiva in un “angolo segreto” della psiche.
Il fantasma è infatti un segreto che si trasmette dall’inconscio di un genitore all’inconscio dei figli, da una generazione all’altra, senza soluzione di continuità.
Nell’ottica transgenerazionale, quindi, una persona soffre sempre in definitiva per un “fantasma che esce dalla cripta”: una malattia transgenealogica connessa ad un legame familiare invisibile, inconscio, le conseguenze del “non detto” che è diventato un segreto impronunciabile.
Usando le parole di Abraham e Torok, i discendenti di un portatore di una cripta sono importunati dalle lacune lasciate dai segreti degli altri: è questo non detto, sottolineato dal silenzio e dalle deviazioni di discorso quando esso appare, che si manifesta nelle parole e nelle azioni di chi è “posseduto” dal fantasma transgenerazionale.
Lo Psicodramma transgenerazionale attraverso il metodo e la tecnica ideati da Moreno, permette nel qui ed ora dell’azione, di presentificare tali fantasmi, in una ricerca che si dipana lungo la linea paterna o materna, coglierne i messaggi, individuarne le fenomenologie che si traducono in “ripetizioni”, in modi del “dover essere”, in ruoli incistati, aiutando il protagonista a riconoscerli quali espressione di un Idem, da cui l’avvio verso l’esplorazione ulteriore di anfratti interni ancora “non parlati”, “non scritti”, spazi transizionali, luoghi immaginali, ove potersi finalmente percepire Autos.

⬇ ⬇ Info sul workshop ⬇ ⬇
Quando
Il workshop durerà più giorni
Inizio: 26 gennaio, ore 15
Fine: 28 gennaio, ore 13
📍 Dove
Frascati (RM) presso il Convento dei Frati Cappuccini, Via Card. G. Massaia, 26 – 00044
A chi è rivolto
Il workshop è aperto ad un max di 25 iscritti ed è rivolto a psicologi, medici, insegnanti, educatori, operatori sociali, studenti universitari e a tutti coloro che vogliono conoscere e sperimentare la tecnica, il metodo ed il modello della gruppoanalisi e dello psicodramma analitico junghiano, attraverso la messa in gioco personale ed il lavoro sulle matrici familiari ed il transgenerazionale.
Come partecipare
Da chi è organizzato e condotto
👤 LEONARDO SEIDITA:
è psicologo, psicoterapeuta gruppoanalista e psicodrammatista junghiano. Socio fondatore e didatta presso la “Scuola di PolisAnalisi” di Roma. Si è formato allo Psicodramma analitico presso l’APRAGIP (Associazione per la ricerca e la formazione in psicoterapia individuale, di gruppo, istituzionale e psicodramma analitico) all’interno della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG. Conduce gruppi in ambito clinico, lavora con minori vittime di abuso e maltrattamento, adolescenti a rischio, famiglie multiproblematiche e nel campo delle dipendenze patologiche. Conduce inoltre gruppi di Psicodramma nella supervisione alle organizzazioni di lavoro, nella formazione e l’orientamento.
👤 FILIPPO PERGOLA:
è psicologo, psicoterapeuta analista individuale e di gruppo. Si è formato alla Gruppoanalisi presso la COIRAG, con Leonardo Ancona. Docente di Psicologia Dinamica dello Sviluppo presso l’Università di Roma Tor Vergata. Autore di diversi master di secondo livello per insegnanti. Presidente dell’Associazione di Psicoanalisi della Relazione Educativa (APRE) e Direttore della Scuola di PolisAnalisi. Si occupa di clinica degli adolescenti, giovani adulti e famiglie. Tra le sue ultime pubblicazioni: “In attesa del padre” (2010, Magi Ed. Roma), “Alla ricerca delle in-formazioni perdute” (2011, FrancoAngeli Ed., Milano), “Un insegnante quasi perfetto” (2017, II edizione, FrancoAngeli Ed., Milano).
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