COSA RESTA, COSA VA VIA, QUANDO QUALCUNO NON È PIÙ QUI?
Qui di seguito un commovente passaggio di Hillman, tratto dal suo libro capolavoro La forza del carattere 📖 dove parla appunto del carattere in relazione alle immagini e alla vecchiaia.
In questo post ho deciso di riportare un passaggio dove Hillman ci parla di un fenomeno che noi tutti conosciamo e sperimentiamo in maniera molto forte:
quando qualcuno che conosciamo viene a mancare, o perché muore o perché se ne va o perché ce ne andiamo noi, qualcosa dell’Altro in realtà sopravvive nonostante tutto, qualcosa continua a modificarsi e ad agire:
sono le immagini del suo carattere…
Vediamo insieme cosa significa,
BUONA LETTURA!
[ Qui trovi il libro di Hillman, di cui consiglierei la lettura a chiunque ]

[ 🔎 Leggi anche: I rapporti falliscono non perché abbiamo smesso di amare, ma perché abbiamo smesso di immaginare. ]
Scrive Hillman:
Esaminiamo da vicino la parola left. Essa è il participio passato del verbo to leave (transitivo: “lasciare; abbandonare; lasciare in eredità.”. Intransitivo: “partire da; uscire da”.)
Quindi left in senso intransitivo significa che qualcosa o qualcuno non è più qui, che se ne è andato; al passivo, che qualcosa o qualcuno è stato lasciato qui, c’è ancora, è rimasto.
Ma è possibile partire e insieme restare?
(…) E sorgono dispute su ciò che se ne è andato. Dove sei ora? Esiste un’altra vita? È possibile tornarne? Tu tornerai?
Non si potrebbero congiungere i due significati di left? Immaginare di partire e insieme restare?
La mia proposta è di abbandonare la semplicistica contrapposizione tra corpo e anima e di immaginare invece un carattere unico incapsulato in immagini.

Queste immagini hanno forma corporea e agiscono come forze corporee. Ti parlano all’orecchio, attraversano i tuoi sogni, e la loro forza è così duratura che può influire sulle tue abitudini, sui tuoi gusti e sulle tue decisioni per anni, molto dopo che la persona che era l’origine prima di quelle immagini è uscita di scena.
Il carattere è una configurazione indipendente, che non è né il corpo, ora nella tomba, né l’anima, diretta verso la sua destinazione teologica.
Tua madre, per esempio (o il defunto marito, o moglie, o amante, o un professore, un amico o amica carissimi, o una persona che conoscevi appena), se ne è andata, eppure rimane come forza del carattere.
L’immagine di una persona sopravvive alla sua partenza e, a volte, dopo che la persona se ne è andata, è ancora più potente.

Queste immagini non sono semplicemente ricordi, non sono soltanto mie, soggettivamente; mostrano anzi una sorprendente autonomia.
Arrivano non invitate nel bel mezzo di una scelta, a sussurrare consigli, biasimi, critiche. Ci ispirano. Ci tentano con la nostalgia. Ci mantengono legati a opinioni che avremmo potuto abbandonare da un mucchio di tempo. Ci obbligano a rimanere illogicamente attaccati a oggetti che ingombrano cassetti e armadi, perché tali oggetti agiscono su di noi come vestigia di quel carattere e sono imbevuti del suo potere duraturo.
“No, questo non lo posso buttare via!”. E se alla fine ci decidiamo a farlo, il gesto è grave, solenne, come un rito.
Limitandoci a passare in rassegna i ricordi, forse non avremmo neppure modo di intuire la pienezza del carattere di una data persona.

Il carattere di nostro padre, per esempio, continua a dispiegarsi, e noi continuiamo a imparare cose su di lui, e da lui. Ci torna alla mente in flashback e in fantasticherie involontarie. Via via che, invecchiando, diventiamo sempre più simili a lui, spesso ce lo sentiamo più vicino. Un’occhiata allo specchio, un certo piatto al ristorante, la battuta di un vecchio film, e si illuminano taluni suoi tratti, che prima non avevamo mai notati.
Guardate da vicino, le immagini rivelano sempre nuove cose, correggendo il necrologio, sfumando le impressioni, insegnando ancora qualcosa.
Molto prima di andarcene, noi stessi siamo già un groviglio di immagini che comprimono la nostra complessità in un “carattere” e influiscono sugli altri come vitale forza immaginativa.
Poiché non immaginiamo l’immagine che gli altri percepiscono, non ci rendiamo conto dell’impatto del nostro carattere. Immagini di questo nostro carattere entrano nei sogni e nei pensieri altrui, accendendo una reazione, risvegliando un sentimento, sollevando un interrogativo, come se volessero richiamare queste altre persone a un qualche compito.
Dunque, quel che resta di noi dopo che ne siamo andati è il carattere
“Quelle immagini,
che nuove immagini generano”
(Yeats)
(James Hillman – La forza del carattere – Ed. Adelphi, pp.220-222)