Chi sei veramente? Una storiella ebraica ce ne parla in maniera memorabile, ricordandoci come sia vitale e importantissimo vivere la propria unicità, la propria vocazione, il proprio dono.
Tratto dal libro La felicità è qui, di Raffaele Morelli
Quello che apprendi può svolgere la funzione di stimolare la tua essenza, aiutarti a ritrovare il sapere innato o, altra faccia della medaglia, distanziarla a tal punto dal tuo sapere innato da farti diventare un bel manichino.
Importante, se non addirittura vitale, è scoprire chi siamo. Ecco una storia esemplare, protagonista un grande rabbino ebreo.
Un giorno va a trovarlo un uomo infelice, insoddisfatto di sé e gli dice:
“Maestro, io non sono contento”.
E il maestro gli risponde: “Cosa c’è che non va?”. L’uomo aggiunge: “Sono un cohen, l’uomo che dà le benedizioni. Dovrei essere un uomo felice…invece…”.
E il rabbi gli risponde: “Un uomo che dà le benedizioni…ma può farlo chiunque”.
L’uomo continua: “Ma io non ho mai peccato, non ho mai ucciso o tradito mia moglie, mi sono comportato bene con i miei figli.”.
“Ma così può comportarsi chiunque” ribatte il rabbi. L’uomo insistette: “Rabbi, io sono anche l’uomo che fa il pane”.
A questo punto il rabbi si fa pensieroso.
C’è da dire che, in tempi non lontani, fra gli ebrei c’era stato un grosso dibattito sul pane senza lievito. Chi sapeva fare il pane senza lievito era un uomo speciale. Perché farlo senza lievito?

Perché senza lievito voleva dire che il pane sarebbe cresciuto senza le inevitabili impurità. Non a caso, nel periodo delle festività pasquali, sulle tavole degli ebrei fa la sua ricomparsa il pane azzimo. Quel pane riveste una funzione quasi sacra. Il pane col lievito no. Lievitare vuol dire far lievitare i disagi, far lievitare i conflitti. Il pane azzimo è un pane pulito.
Le grandi pulizie della Pasqua ebraica si specchiano proprio nel pane azzimo. Il messaggio è chiaro: pulisci tutto perché non rimanga un filo di polvere, perché non rimanga alcuna traccia del passato, perché non rimanga l’ombra di una macchia. È un rito. Un rito sacro.
Il rabbi guarda negli occhi l’uomo, che con tono supplichevole ripete: “Rabbi, io so fare anche il pane”.
Così al rabbi viene in mente la questione del pane azzimo e del lievito. L’uomo non si dà pace e continua: “Rabbi, io so fare anche il pane, non mi manca nulla per essere un uomo, per sentirmi un uomo buono. Non credi…”.

“Ma tutto questo può farlo ed esserlo chiunque” risponde il rabbi, che non ignora una verità: gli ebrei dai tempi dei padri hanno sempre scelto uomini giusti per fare il pane.
Allora il rabbi gli chiede: “Perché non stai bene?”. E l’uomo risponde: “Rabbi, te l’ho detto…non lo so”.
“D’accordo, ora sai fare il pane, un lavoro che molti fanno. Ma cosa sapevi fare da ragazzo?” chiede il rabbi.
La domanda getta un lampo di luce. “Cosa sapevi fare da ragazzo? Cos’è che ti veniva più facile di ogni altra cosa?”
(Non dimentichiamo che la psicoterapia è nata fra i rabbini. I più grandi terapeuti sono nati lì. Non è stato Freud o gli altri a inventarla, no. Risale ai chassidim. Erano grandi psicologi, i chassidim…)
La domanda del rabbi lo colpisce. L’uomo riflette e accenna a un sorriso.

“Adesso che mi fai pensare, ricordo che da ragazzo andavo sulla spiaggia, prendevo la sabbia, la impastavo con l’acqua di mare e facevo delle palline. Le coloravo per ore e ore. poi facevo a ognuna un piccolo buco, vi facevo scorrere dentro un filo e ne uscivano delle collane. Bellissime” racconta l’uomo.
Il rabbi lancia un grido: “Ah! Un gioielliere!”. Il rabbi non ha dubbi:
“Il gioielliere! Ecco chi sei veramente. Dio non ti perdonerà di non aver fatto quello che sapevi fare.” Il rabbi continua:
“Il nostro Dio non te lo perdonerà mai, ricordalo. Ecco la causa lontana del tuo malessere crescente: aver ignorato quel dono. Gioielliere…lo sapevi già fare da ragazzo. Eri nato gioielliere. Nessuno te lo aveva insegnato…”.
[…] A Bacon, il grande pittore, un giorno chiedono: “Scusi maestro, lei ha fatto l’accademia?”.
“Per l’amor di Dio, anziché imparare mi avrebbero costretto a disimparare” è stata la risposta.»
(Raffaele Morelli – La felicità è qui, Mondadori p.48)
FINE.
Un famoso libro che consiglio sempre sull’importanza di vivere il proprio talento, la propria vocazione, il proprio daimon:
