Conferenze alla Zofingia 1896-1899. Le conferenze che Jung teneva quando era un giovane e brillante studente di medicina a Basilea. Una testimonianza avvincente delle origini del pensiero e delle teorie junghiane. [ ➡ Qui li link al libro ]
Recensione di Rita Proto
La scoperta del fervore intellettuale di Carl Gustav Jung, poco più che ventenne, che si interroga su importanti questioni esistenziali. Le conferenze alla Zofingia 1896-1899 – un inedito in Italia – è presentato dalle Edizioni Magi nella collana “Immagini dall’inconscio”, diretta da Magda Di Renzo.
Ci propone la visione del mondo e il pensiero dello psichiatra svizzero, fondatore della psicologia analitica, all’epoca della sua appartenenza all’Associazione studentesca “Zofingia”.
[ ⬇ Di seguito il libro delle conferenze ⬇ ]

Si tratta di cinque conferenze tenute dal giovane Jung davanti ai colleghi dell’Università di Basilea: un’occasione privilegiata per trattare in modo schietto, a volte sarcastico, tempi psicologici e teologici.
Ci rimandano l’immagine di uno studente brillante, esuberante, appassionato. E non solo nelle discussioni scientifiche ma anche nel risvegliare le coscienze dei suoi coetanei, che dopo pochi anni sarebbero state scosse dalla prima guerra mondiale.
Jung, grazie alla sua appartenenza alla Zofingia, un’Associazione studentesca fondata nel 1820-21 con il motto Patriae, amicitiae, litteris (per la patria, l’amicizia, la cultura), ebbe l’occasione di uscire, almeno in parte, da un iniziale isolamento, vivendo, come lui stesso ammise in seguito, “un tempo felice”, che gli consentì nuove amicizie e scambi spirituali.
Nella sua prima conferenza Sulle zone di confine della scienza esatta, tenuta nel novembre 1896, si scaglia con passione contro la stupidità e l’attaccamento alle convenzioni di molti scienziati. Con lucidità Jung attacca la Società del suo tempo, un “ridicolo colosso dai piedi d’argilla”, in grado di partorire teorie “grossolanamente materialiste”, come precisa Marie-Louise von Franz nell’introduzione al libro.

E del materialismo, definito come “morte intellettuale”, il giovane Jung individua con precisione i punti deboli pur senza indicare soluzioni precostituite. Afferma con vigore la “presenza nella natura materiale di due principi metafisici”, ma che, a differenza dei fenomeni materiali, studiati nei minimi particolari, quelli metafisici sono del tutto sconosciuti.
Nella seconda conferenza, Alcuni pensieri sulla Psicologia del maggio 1897, citando Kant, Strauss, e Schopenhauer, viene portata avanti con forza l’esistenza di una “forza vitale”, l’anima, che “supera di molto la nostra coscienza”.
Ecco qui il primo accenno all’idea di inconscio, di un’anima intelligente, finalistica nelle sue azioni, indipendente da spazio e tempo, come verrà poi messa a fuoco nelle teorie formulate in seguito.
E poi un appello accorato alla necessità di riportare la moralità nella scienza, come del resto aveva sottolineato anche Kant. Moralità essenziale anche per risvegliare le coscienze, assopite dal materialismo.
Non mancano, nella Conferenza, attacchi ai teologi, che negano l’essenza della religione, legata, secondo Jung, a realtà misteriose e al regno “soprannaturale”.

Nel Discorso inaugurale come Presidente della Zofingia, Jung mostra toni appassionati a difesa dell’umanità, precisando che l’Associazione doveva “formare uomini e non animali, politici, uomini che ridono e piangono”…, concludendo con un chiaro appello a “promuovere il movimento spirituale”.
La quarta Conferenza Pensieri su essenza e valore della ricerca speculativa, tenuta nell’esatte 1898, offre a Jung l’occasione di dissertare su alcuni principi filosofici.
Afferma infatti che, per arrivare alla felicità, l’uomo deve adempiere quell’imperativo categorico sostenuto da Kant e che lo porta a seguire la sua coscienza etica ma anche dare spazio al suo bisogno di capire la realtà esteriore e interiore, una ricerca della verità che diventa religione.
Jung si spinge fino a trasformare la “cosa in è sé” di cui parlava Kant in funzione del “mondo dell’invisibile e dell’incomprensibile”: è l’ignoto, quello che più tardi diventerà la causa prima dell’inconscio collettivo.
Si fa anche accenno a quella che diverrà la formulazione dell’archetipo, una struttura inconscia che si manifesta attraverso immagini, idee ed emozioni archetipiche e alla sua teoria degli “opposti”, un contrasto che rimanda alla filosofia orientale dello yang-yin.
Tutta la Conferenza rimanda a una visione sostanzialmente pessimistica della vita ma anche a una reale compassione per le sofferenze dell’umanità.

E più direttamente di religione si tratta nella quinta conferenza, Pensieri sulla concezione del cristianesimo in riferimento alla dottrina di Albrecht Ritschl, tenuta nel gennaio 1899.
Si potrebbe dire che, seguendo il richiamo di Kant “al cielo stellato sopra di noi”, il giovane Jung chiarisce che il nostro profondo bisogno di conoscenza è di tipo religioso ed esamina il pensiero del teologo Albrecht RItschl.
Secondo Jung, Gesù fu un uomo-Dio, un fenomeno misterioso, con ciò prendendo posizione contro una teologia che si ispira alla fredda razionalità.
Eppure non possiamo non tenere conto della tradizione cristiana, soprattutto di quella del “cristianesimo primitivo” che rimanda al mistero di un “un mondo metafisico”.
Proprio per ribadire il “sentimento di insicurezza” che lo domina, Jung, come spiega in una prefazione alla Conferenza, decide di avventurarsi nel terreno della teologia, rilevando che spesso essa nega, come avviene nel pensiero del Ritschl, ogni valore al sentire inconscio, e, in sostanza, al “mistero” che affascinò Jung in tutta la sua vita
Rita Proto
FINE.