La psicologia “junghiana” nell’ambito del benessere personale e organizzativo
Percorsi junghiani generativi e trasformativi (a cura di Mario Mengheri)
Un saggio che tenta di portare gli strumenti della psicologia analitica (ovvero “junghiana” o “complessa”) all’interno dell’ambito del benessere non solo personale (psicologia della salute) ma anche organizzativo e lavorativo. Tale operazione viene effettuata anche attraverso l’uso pratico del mito.
Come ricorda l’amico Mario Mengheri, curatore del saggio nonché psicoterapeuta junghiano (IAAP), già Jung evidenziava l’importanza di un’integrazione tra la psicologia analitica e le discipline dell’educazione e della formazione.
Già dal 1920 usava le espressioni: educazione degli adulti, educazione e ri-educazione alla salute, prevenzione. Degli otto capitoli che compongono il diciassettesimo volume delle sue Opere, tre contengono, fin dal titolo, la parola “educazione”, segno dell’importanza che nello sviluppo della personalità egli attribuisce al processo educativo quale strumento di umanizzazione e veicolo essenziale della presa di coscienza.
Ma ora vi lascio alla prefazione del libro scritta dall’altro amico e psicoterapeuta junghiano Alessandro Raggi…
BUONA LETTURA!

Prefazione al libro

Laquestione del cosiddetto “benessere organizzativo” è attualmente ampiamente dibattuta, seppure il tema, come questione d’interesse per gli studiosi e per i manager, in realtà, stia acquisendo una certa consistenza da non molti anni.
In tempi molto più recenti, a partire dalla ricerca in ambito accademico, passando per le applicazioni teorico-pratiche in contesti organizzativi privati, si è infine approdati allo “sdoganamento” del benessere organizzativo anche dal punto di vista della Pubblica Amministrazione e finanche normativo.
È del 2015, ad esempio, la pubblicazione del Codice di comportamento dell’INAIL contenente le “disposizioni sul benessere organizzativo” emanate dall’Ente, che in tal modo, oltre a recepire il concetto, giunge ad applicarlo finanche a sé stesso.
Non si tratta più, dunque, soltanto della mera nozione di “rischio stress lavoro correlato”, la quale pure aveva fatto fare un salto di qualità al mondo pubblico (benché in Italia sia stato recepito soltanto a partire dal 2008).
Se questo concetto, sino a poco fa, sembrava l’unico in grado di far volgere alla Pubblica Amministrazione uno sguardo psicologico al benessere dell’individuo, adesso, con il benessere organizzativo, siamo di fronte al riconoscimento della necessità di un salto di livello: un livello che è sovraordinato, che addirittura oltrepassa l’individuo e investe l’intera sfera organizzativa e ambientale del soggetto. Anzi, con il concetto di benessere organizzativo, è l’organizzazione in quanto tale destinataria e promotrice, assieme, del benessere per sé stessa e per i propri membri.

L’organizzazione, quindi, si trova, seppur implicitamente, a essere osservata e individuata – persino da un Ente Pubblico – come un soggetto e non più solo come un insieme di soggetti, una semplice sommatoria di individui che condividono il medesimo ambiente.
Occorre però anche notare che tra benessere organizzativo e rischio stress lavoro correlato non c’è solo un salto di tipo logico, come direbbe Bertrand Russell, ma soprattutto la proposta di un’inversione di tendenza.
Si passa, infatti, da una logica reattiva a una proattiva. Ovvero, assistiamo al superamento di un modo difensivo di intendere la questione della salute sul luogo di lavoro come evitamento delle situazioni di malessere (rischio stress lavoro correlato), per giungere alla ricerca attiva del benessere come obiettivo per l’intera organizzazione (benessere organizzativo).
La salute è ora un elemento chiave del successo lavorativo dell’individuo, ma anche dell’organizzazione e la promozione della salute è elemento di performance organizzativa oltre che individuale.
Il presente testo, curato da Mario Mengheri, Lara Busoni ed Elisa Molino, rappresenta in questo scenario un esempio di originalità e ambizione.
È un testo sicuramente originale, perché intende accostarsi al mondo del lavoro e della formazione con una chiave di lettura squisitamente psicologica – archetipica – la quale ha ben pochi precedenti degni di essere ricordati.
L’ambizione degli autori nel proporre questo volume, ha invece un duplice volto: la difficoltà, brillantemente superata, in primo luogo di cimentarsi con la complessità della teoria junghiana e del modello archetipico, senza cadere in facili – quanto sterili – stereotipizzazioni, inoltre, in secondo luogo, l’ambizione di parlare di questioni organizzative con un linguaggio che non fatica a nominare – di fianco ai neologismi e ai tecnicismi propri del “mestiere” – concetti, come quello di Anima, che sono risultati troppo spesso banditi, ingiustamente, dal perimetro percettivo delle imprese, delle aziende e degli Enti pubblici e privati.

Eppure, le questioni dell’Anima, come fa notare bene Mengheri in tutta l’opera, sono piuttosto l’essenza stessa di quella singolarità che riguarda l’organizzazione quale soggetto. Anche l’organizzazione, perciò, non solo l’individuo, può trovarsi al cospetto di proprie costellazioni archetipiche. Questo testo, ha perciò anche il non scontato merito di reintrodurre nel gergo delle scienze organizzative parole inopinatamente rimosse dal campo della “coscienza manageriale”.
Ciò che si coglie nel testo è pertanto proprio quella capacità di offrire uno sguardo bio-psico-sociale, o come meglio ricordano gli autori, “sistemico”, a partire dal modello ecologico globale (eco-bio-psicologico), sino al modello archetipico, che affonda le proprie radici nella teoria junghiana dell’inconscio e della coscienza collettivi.
Carl Gustav Jung ha contribuito come pochi altri scienziati allo sviluppo del pensiero umano, molti dei suoi contributi, infatti, hanno simboleggiato semi che sono successivamente germogliati nell’ambito di discipline non necessariamente legate direttamente alla psicologia: fisica, filosofia, ecologia, teoria dei sistemi e di conseguenza anche scienze organizzative. Non di rado, però, è mancato il riconoscimento a Jung dello sforzo compiuto e come ricorda Andrew Samuels, molti sono stati gli “junghiani inconsapevoli”.
A questo proposito, non si può non ricordare, che fu proprio Gregory Bateson, uno dei padri fondatori della prospettiva sistemico-relazionale, a cui tanto devono le scienze organizzative, a far proprie, senza farne mistero, le ipotesi transpersonali di Jung.
Entrambi, Bateson e Jung, erano difatti accomunati da un’insistente curiosità per tutto ciò che sovra-ordinava il soggettivo e che andava, pertanto, a costituire quella dimensione collettiva che poteva configurarsi come una “mente” non individuale. Nelle considerazioni di Bateson formulate a partire dal pensiero di Jung, si intravede già abbastanza nitidamente, appunto, l’idea di organizzazione proprio così come la intendiamo (o stiamo iniziando a intendere) attualmente.
Il mentale, sembra oggi appurato, non coincide con il livello meramente biologico e soprattutto, cosa interessante ai nostri fini, non coincide con il livello individuale e soggettivo.
L’influenza incrociata tra i piani individuale, gruppale, sociale – e tutto il rispettivo collegamento tra salute individuale, organizzativa e pubblica – può intendersi, nella prospettiva illustrata, sia come interdipendenza, sia come alternanza tra livelli di strutturazione del mentale stesso.
Per tutti questi motivi, l’intervento formativo sulle competenze invisibili – come esse sono chiamate correttamente dagli autori – si configura come un progetto di riallineamento tra tutte le componenti della “mente estesa” – individuo, gruppo, organizzazione – che molto spesso, invece, si sono trovate a fare i conti con frammentazioni e parcellizzazioni.
La difficoltà di pensiero che tutt’oggi permane, è proprio quella di considerare le parti come scisse tra loro e non il sistema. Tale modo di pensare, dicotomico e parcellizzato, è sì frutto della logica cartesiana, ma è ad uno strato più profondo, anche una modalità archetipica di funzionamento psicologico, che mal tollera la sua controlateralità enantiodromica plurale, o come direbbe James Hillman “politeista”, la quale ha, invece, nella complessità sistemica la sua manifestazione più compiuta.
Immaginare quindi, interventi sull’individuo privi di riferimento al sistema e alla sua complessità, può trasformarsi in un’esperienza patologica per il soggetto, quanto per il sistema organizzativo stesso.
In siffatti tranelli, retaggio di un approccio formativo “a catalogo”, poco incentrato sull’analisi effettiva dei fabbisogni dell’intera organizzazione, gli autori sono ben attenti a non cadere. Meglio, questo lavoro mostra come si possa convergere su obiettivi sistemici, partendo certamente dall’individuo così come dall’organizzazione, tuttavia con in mente una visione “complessa” del sistema stesso.
L’esperienza per il soggetto, nella proposta degli Autori, ben lungi dal rivelarsi una «soluzione pronta all’uso», si palesa altresì quale vero e proprio percorso di «iniziazione alla consapevolezza».
Per meglio dirlo con gli autori, la formazione sembra prendere la forma dell’attraversamento metaforico: «una discesa e ritorno dal mondo dell’Ade», che consente all’individuo di comprendere e comprendersi, evolvere e sviluppare, infine, quelle capacità personali che hanno come diretta conseguenza l’empowerment soggettivo e organizzativo.
L’attività del pensare alla formazione e fare formazione, è comprovato abbia ricadute positive su tutta l’organizzazione e sulla sua mission, nondimeno, occorre rammentare, che vi è anche un valore etico imprescindibile, per l’impresa privata quanto per l’Ente Pubblico, nel promuovere la salute e il benessere dei propri membri e dell’intera struttura organizzativa. Una formazione che parla il linguaggio profondo del mito, assume in questo modo un significato che va ben oltre le attività di addestramento e persino più in là delle classiche iniziative di formazione sulle competenze soft dell’individuo.
Il proposito dei curatori del volume è dichiaratamente quello di portare la “valle del fare Anima” nel cuore dell’organizzazione, attraverso l’incontro e il ricongiungimento con gli aspetti più in Ombra della personalità dei partecipanti, immettendoli direttamente in esperienze mitologiche e archetipiche, dunque, che pescano dal substrato collettivo di quella psiche oggettiva che Jung indicava quale ponte bio-psicologico tra l’individuo e la collettività. Potremmo dire noi: tra il singolo e l’organizzazione.
Il fare Anima diviene, in questo modo, meta per l’individuo quanto per l’organizzazione, e persino per la società stessa in cui individuo e organizzazione sono a loro volta calati.
Ciò che gli autori mostrano in questo lavoro, è in definitiva la possibilità di fare Anima, lasciandosi guidare dal mito e dalle sue configurazioni psicologiche nello strutturare attività formative che abbiano un respiro ampio, e siano cioè finalizzate a promuovere il benessere e la salute non solo sul luogo di lavoro, ma anche del luogo di lavoro.
FINE.

sarà presentato questo volume il 26 ottobre ore 17.30 a livormo, hotel palazzo, Viale italia 165, dalla stazione di livorno in 8 minuti di bus, e seguirà (TUTTO GRATUITO E SU PRENOTAZIONE: mario.airp@gmail.com solo per 100 persone) con apericena alle 20,00 — sarà presente Alessandro raggi, il Curatore, gli Autori, tra cui Mario Mengheri — venite ci tengo molto mario mengheri
mengheri