Sandplay Therapy, o Gioco della sabbia. L’originale e nuovo libro di Martin Kalff, figlio dell’ormai nota analista junghiana Dora Kalff (1904-1989), che fu amica e allieva di Jung, nonché ideatrice della sandplay therapy. Il libro è una novità unica nel panorama culturale italiano, edito da Moretti & Vitali

Introduzione di Paolo Ferliga al libro di Martin Kalff:
Ascoltando il corpo. Nuove vie per il gioco della sabbia
Questo libro presenta il lavoro di ricerca e sperimentazione sul Gioco della sabbia (Sandplay therapy) di Martin Kalff e di un gruppo di terapeuti italiani[1] che da più di dieci anni collabora con lui, incontrandosi periodicamente nella sua casa di Zollikon, sul lago di Zurigo.
Nata negli anni Sessanta del secolo scorso grazie alle profonde intuizioni di Dora Kalff, la terapia col Gioco della sabbia si apre, nella visione del figlio Martin, a un metodo rinnovato che focalizza l’attenzione sulla risonanza che le immagini delle sabbie suscitano nel corpo sia del paziente che del terapeuta.
Nel novembre del 2007 Martin Kalff propone questa nuova visione al “Gruppo di Zollikon” che la accoglie subito con interesse e passione. In questo confronto, in cui ciascuno mette in gioco non solo le sue idee, ma anche i suoi vissuti personali, Kalff trova una conferma della sua ipotesi iniziale e stimolo a proseguire in una ricerca che viene qui presentata per la prima volta in forma compiuta.

Il gioco della sabbia
Il gioco con la sabbia è un’esperienza primaria del bambino, toccare la sabbia e impastarla con l’acqua lo diverte e nello stesso tempo lo aiuta a sviluppare fantasia e creatività.
Dora Kalff ha valorizzato questa esperienza, trasformandola in strumento di diagnosi e cura per bambini con disturbi di tipo psicologico.
Nello studio del terapeuta il bambino trova due cassette azzurre piene di sabbia, una bagnata e l’altra asciutta, e un mondo intero in miniatura, rappresentato da oggetti di vario tipo disposti su alcuni scaffali.
Attraverso il gioco il bambino può mettere in scena i propri conflitti inconsci e entrare in contatto con le energie profonde della psiche. Si attiva così in lui un processo di trasformazione che il terapeuta può osservare nelle immagini e nei simboli che man mano compaiono nella sabbiera.
Ben presto questo tipo di terapia si è estesa agli adolescenti e agli adulti. Favorendo una regressione agli stadi pre-verbali della vita psichica, il gioco consente infatti anche a loro di entrare in contatto con il Sé, centro motore della vita psichica, e sviluppare quindi quelle potenzialità creative e trasformative che favoriscono la guarigione.
Negli incontri di supervisione sui casi clinici affrontati con il Gioco della sabbia, Dora Kalff raccomandava agli psicoterapeuti di coltivare un atteggiamento non giudicante e di cercare di sviluppare la propria capacità di amare. Un atteggiamento che fosse curioso e disponibile, capace di accogliere le immagini e i simboli che si presentano nella sabbiera, senza esprimere giudizi e nemmeno interpretazioni.

Questo tipo di atteggiamento consente al terapeuta di sperimentare un sentimento di libertà che viene comunicato al paziente in modo non verbale, aiutandolo a scoprirne, anche dentro di sé, il potere trasformativo.
La capacità di amare, intesa come desiderio autentico che il paziente possa finalmente liberarsi dal suo soffrire, porta il terapeuta a riconoscere nel paziente una persona e quest’ultimo può allora imparare a guardare con amore quei lati di sé che prima trovava inaccettabili e negativi.
Partendo da questi suggerimenti e orientamenti metodologici, Martin Kalff ha indicato una nuova via sperimentandola con i suoi pazienti e con il gruppo di supervisione di Zollikon.
La novità del suo approccio consiste nello spostamento dell’attenzione dall’osservazione delle immagini che compaiono nella sabbiera, all’osservazione e registrazione delle percezioni corporee che tali immagini attivano sia in chi le osserva, sia in chi le crea.
È l’ascolto dei vissuti del corpo che diviene così il terreno solido da cui partire per conseguire una comprensione più profonda sia delle immagini che compaiono nella sabbia sia dei sogni raccontati dai pazienti.

Una prospettiva fenomenologica
Valorizzando i vissuti del corpo, Kalff si pone, sul piano teorico, in continuità con le ricerche fenomenologiche di Edmund Husserl e di Merleau-Ponty sul corpo vivente (Leib), inteso sempre correlato alla psiche, e contrapposto al corpo cosa (Körper), visto nella sua mera espressione fisica. Sul piano più strettamente psicologico il suo approccio si colloca nel solco della psicologia analitica di Carl Gustav Jung, che individua nell’inconscio una relazione interna tra corpo e psiche, tra istinti e immagini archetipiche.
All’immaginazione attiva però, che Jung propone per trasformare le emozioni più forti in immagini, Kalff affianca la meditazione come tecnica utile per portare l’attenzione sui vissuti del corpo.
L’idea di Jung, espressa in particolare nei suoi seminari su Nietzsche, che ai diritti del corpo debba essere riservata la stessa attenzione che a quelli dello spirito, trova così nella proposta di Kalff un ideale completamento.

Le parole del corpo
La sua ricerca si discosta invece radicalmente da un’impostazione che vede nel corpo e negli istinti il luogo dell’ambivalenza e della mancanza di senso, senso che sarebbe riscontrabile solo nel campo della coscienza.
Non si tratta solo di un’impostazione che affonda le sue radici in un’interpretazione forse unilaterale del pensiero di Platone,[2] ma anche della tendenza di una parte della psicologia contemporanea a concentrare la propria attenzione solo sugli stati della mente, relegando il corpo nel luogo del non-psichico, del meramente fisico. In questo modo però la psiche risulta irrimediabilmente scissa dal corpo e il corpo viene visto come una cosa.
Proprio l’ambivalenza simbolica del corpo, la sua capacità di reagire in modo non univoco alle immagini dell’inconscio, fornisce invece, secondo Kalff, la via d’accesso privilegiata per comprendere i vissuti psichici.
Sotto la sua guida, nel gruppo di Zollikon abbiamo sperimentato che guardando le immagini delle sabbie, le reazioni del nostro corpo, spesso tra di noi diverse, forniscono a ciascuno nuove possibilità di lettura, aiutano a intravedere percorsi e soluzioni prima non visti. Non solo.
Abbiamo anche potuto constatare che il lavoro di meditazione e di attenzione al corpo, compiuto dal terapeuta, contribuisce a modificare la situazione psicologica del paziente, come mostrano alcuni casi clinici presentati in questo libro.
Nel gioco della sabbia, che si sviluppa a partire dal movimento delle mani, paziente e analista comunicano infatti più col corpo che con la parola. Le parole del corpo diventano così il linguaggio della coppia analitica e contribuiscono a collocare la relazione transferale[3] su una solida base.

Sandplay e neuroscienze
Per le potenzialità che riveste nella ricerca teorica è importante notare anche la centralità che Kalff assegna alla relazione tra processo di individuazione e integrazione neurale, entrambi favoriti dalla Sandplay therapy.
✍️ Leggi anche: Che cos’è il processo di individuazione in psicologia? Divenire ciò che si è
In un confronto serrato con alcune acquisizioni recenti delle neuroscienze, Kalff mostra come l’uso della sabbia aiuti a connettersi con esperienze precoci spesso dimenticate, a attivare l’emisfero destro del cervello, “sede” della creatività, e favorisca l’integrazione verticale che collega corpo, sistema limbico (preposto alle emozioni) e corteccia cerebrale (preposta alla coscienza razionale).
Proprio il lavoro del corpo e sul corpo rende più agevoli dunque quei processi di integrazione di carattere neurologico e psichico che sono indispensabili per uno sviluppo completo della propria personalità, processi spesso interrotti o bloccati da esperienze traumatiche e da varie forme di disagio psichico.
Nell’analizzare i diversi livelli di integrazione neurale descritti dal neuropsichiatra americano Dan Siegel, Kalff si sofferma in particolare sull’ “integrazione transpirazionale” che si riferisce all’esperienza in cui una persona si sente parte di un insieme più grande, che va oltre la propria identità fisica. A questo livello si attiva una nuova modalità percettiva e, come dice Dan Siegel, il sacro penetra ogni nostro respiro e la nostra essenza più autentica.
Questo aspetto dell’integrazione neurale con l’enfasi posta sul tema del sacro richiama l’idea di Carl Gustav Jung che l’esperienza del Sé, il motore del processo di individuazione, assuma per la coscienza una carattere “numinoso”, quasi divino.
A questo proposito Kalff mostra, in una rilettura personale del Libro rosso di Jung, le analogie tra processo di individuazione e acquisizioni delle neuroscienze sulla struttura del cervello: il processo di individuazione, quel percorso esistenziale grazie al quale una persona diventa se stessa, mostra di procedere strettamente correlato al processo di integrazione neurale: entrambi costituiscono due facce della stessa medaglia.
La sua ricerca si colloca così in dialogo con la teoria della simulazione incarnata (embodied simulation), formulata in particolare da Vittorio Gallese dopo la scoperta dei neuroni specchio, realizzata dall’équipe di Giacomo Rizzolatti. Tale teoria, secondo la quale, l’osservazione di azioni o comportamenti altrui produce nell’osservatore l’attivazione dei medesimi circuiti neurali deputati a controllarne l’esecuzione, sembra fornire infatti indicazioni importanti per comprendere le dinamiche sottese sia al gioco della sabbia, sia alla relazione tra terapeuta e paziente.

Sandplay e meditazione
Dal punto di vista più strettamente metodologico, Kalff riprende la pratica della mindfulness (meditazione di consapevolezza) finalizzata alla cura di disturbi psichici e psicosomatici, sviluppata in Occidente da Jon Kabat-Zinn, fondatore della Clinica per la riduzione dello stress, presso l’Università del Massachusetts.
Questo tipo di meditazione insegna a prestare attenzione al momento presente e aiuta a creare uno spazio interiore in cui si diviene consapevoli delle proprie sensazioni corporee e delle proprie emozioni, senza esprimere alcun giudizio.
Kalff però, che è maestro di meditazione e che ha incontrato più volte il Dalai Lama e frequentato a lungo diversi Lama tibetani, recupera nella sua pratica gli insegnamenti del buddismo tibetano da cui la mindfulness ha avuto origine, insegnamenti che non sono solo tesi a favorire la piena consapevolezza dei propri stati mentali, ma anche a sviluppare un’autentica empatia e compassione nei confronti degli altri.
Una compassione che, in consonanza con il rispetto per ogni creatura vivente tipico del buddismo, si estende agli animali. Troviamo qui uno dei tratti più originali dell’impostazione teorica e terapeutica di Kalff. Riprendendo infatti le osservazioni di Jung sull’importanza che l’animale interiore, protagonista spesso dei nostri sogni, riveste per la vita psichica, le collega al valore che è necessario attribuire all’animale esteriore, agli animali cioè che vivono intorno a noi.
✍️ Leggi: L’importanza psicologica dell’animale interiore (Jung)
Per quanto riguarda il Gioco della sabbia ciò significa dedicare un’attenzione particolare agli animali che compaiono nella sabbiera e alla relazione che i pazienti intrattengono con loro e più in generale con la natura.
Il sentimento di simpatia per gli animali, lungamente coltivato da Kalff, lo ha portato, come testimoniano alcuni passi di questo libro, a sviluppare numerosi interventi per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della sofferenza degli animali e sull’importanza della loro salvaguardia per l’equilibrio psichico dell’individuo e della collettività.
La clinica e il gruppo di Zollikon
Il saggio di Martin Kalff si chiude con la presentazione di un caso clinico in cui è possibile vedere la relazione feconda, per la terapia, tra gioco della sabbia, analisi dei sogni e vissuti del corpo.
Come accennato all’inizio di questa introduzione, a fare da controcanto alla monografia di Kalff, che costituisce la prima e più consistente parte del libro, presentiamo alcuni contributi di terapeuti italiani che hanno collaborato con lui. Nella seconda parte il lettore troverà riflessioni, ma anche sentimenti e emozioni di chi ha partecipato al gruppo di supervisione.
La scrittura, dal punto di vista stilistico, riflette la particolare tonalità affettiva di ciascun autore, nel tentativo di restare fedeli a quel linguaggio del corpo che ha guidato l’intera ricerca. Il nuovo metodo viene qui analizzato e presentato in particolare per le ricadute che ha avuto sui partecipanti al gruppo, contribuendo alla loro formazione come terapeuti della sandplay.
Il lavoro del gruppo viene descritto come un rito che si articola in momenti diversi, ma che trova nella ripetizione degli stessi gesti e nella frequentazione della casa di Zollikon la sua forza. Meditazione, movimento, silenzio e parole si intrecciano con i momenti del pranzo e della cena e contribuiscono a fornire un’immagine viva del nostro lavoro.
Nella terza e ultima parte vengono presentate alcune esperienze terapeutiche che devono il loro successo anche all’applicazione del nuovo metodo suggerito da Martin Kalff: un bambino affetto da mutismo elettivo, una giovane donna con un’infanzia difficile, una bambina che ha subito un abuso, un’altra con alcuni tratti autistici, una donna prigioniera delle sue immagini interne, un uomo segnato da una ferita profonda. Le loro storie vengono raccontate presentando le immagini di alcune sabbie, descrivendo le risonanze suscitate nel gruppo e la loro ricaduta nel setting terapeutico.
A poco meno di cinquant’anni dalla pubblicazione italiana de Il Gioco della sabbia di Dora Kalff,[4] ci auguriamo con questo libro di contribuire a valorizzare il suo insegnamento aprendo nuove strade alla ricerca teorica e alla pratica clinica.
FINE.
⬇ Qui di seguito trovi il libro

Note al testo:
[1] “Zollikon Experience Related Sandplay Study Group” detto anche “Gruppo di Zollikon”.
[2] Questa interpretazione si richiama alle parole di Socrate che nel Fedone, uno dei dialoghi di Platone teso a dimostrare l’immortalità dell’anima, dice che per cogliere la verità dobbiamo allontanarci dal corpo. Si potrebbe obiettare a questa interpretazione che la visione di Platone della psiche è più complessa e integra, in altri dialoghi, aspetti razionali e irrazionali.
[3] La psicanalisi designa come relazione transferale o più semplicemente transfert la relazione che si viene a creare tra paziente e terapeuta, caratterizzata dalla presenza di processi inconsci che opportunamente analizzati possono favorire un processo di guarigione.
[4] D. M. Kalff, Il gioco della sabbia e la sua azione terapeutica sulla psiche, Edizioni O/S, Firenze 1974.