La letteratura come mappa del nostro essere al mondo. Il libro “Odissei senza Nostos” di Gabrio Vitali

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Odissei senza nostos (Gabrio Vitali) - Moretti e Vitali

Libro edito da Moretti e Vitali il 14 febbraio 2019

Introduzione 

[In greco “ritorno” si dice nostos]

Vivo in un tempo di risorgimenti. E di ricongiunzioni. Un tempo di ritorni, di recuperi, di ritrovamenti. In ogni aspetto della mia vita di ora, c’è sempre un ri-qualcosa, che cadenza e libera persino l’apparire dell’inatteso, della novità.

(…) Sono tanti i fili che sembrano riannodare le trame. (…) Voci, volti, discorsi, gesti; luoghi, periodi, situazioni e paesaggi… tutto pare trovar posto (novo? già antico?)…

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Non c’è nostalgia. Tantomeno rimpianto, figurarsi! Semmai, c’è ricostruzione e riposizionamento di tracciati diversi, che d’improvviso si connettono fra loro in un senso che, poi, appare ovvio e viene riconosciuto. Ricompreso. Tutto appare più chiaro, adeguatamente interrelato, meglio leggibile.

Ho sempre detto ai miei allievi, fino all’estenuazione, che la poesia, di qualsivoglia cosa parli e in qualsiasi tempo sia stata scritta, è sempre contemporanea. Perché parla ogni volta di te, di te adesso e del tuo mondo. Il punto è saperla leggere e ascoltare.

Questa è quasi una banalità, lo ammetto, ma l’affermarla mi ha sempre permesso di sottolineare un aspetto importante per far capire la funzione civile dell’opera letteraria: la risposta del lettore, la sua assunzione di responsabilità, la sua presa di posizione.

La poesia, quella vera, in versi o in prosa che sia, ci costringe ogni volta a un’interrogazione sul senso e sul valore della tua vita, della storia che ti tocca in sorte di attraversare, dello stato della civiltà umana nel pianeta, in cui il tuo tempo si colloca. E la domanda fondamentale che sempre ti fa è: che responsabilità ti assumi tu, lettore, a riguardo della condizione umana, oggi?

La poesia è esigente: bisogna accettarne la sfida e l’interrogazione, bisogna provare a rispondere. Pena il restare “Odissei senza nostos”.»

(introduzione dell’autore Gabrio Vitali)


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Recensione al libro

(di Massimiliano Forgione)

Nel gioco serio della letteratura si articola la natura di un uomo che, attraverso la parola e la fisicità del suo proferimento, scandisce le sequenze della propria esistenza, da sempre e oggi ancor più aggrappata alla persuasione di una dignità da alimentare a forza di studio e immaginazione.

Odissei senza nòstos di Gabrio Vitali è un prezioso pensiero lungo sulla vicenda umana di sempre, urgente di una cura riparatrice, prima che sia nuovamente troppo tardi, che cali il sipario sulla commedia umana, unica messa in scena sulla quale abbiamo la possibilità di determinare la misura dei nostri destini.

Nella profonda conoscenza della letteratura quale arte della documentazione dei mondi possibili, l’autore propone il suo intimo viaggio estatico che soavemente si apre alla coralità per la cifra timbrica della sua prosa (pensiamo al musicista che suona la propria musica, approdo della padronanza di tutti i generi) e per la chiamata civile il cui portato risulta estremo e definitivo, perché va dritto al cuore della coscienza.

Nel nòstos (ritorno) c’è sempre qualcosa che sfugge, il canto delle sirene la fa fuoriuscire. Ma cos’è che rimane inevaso?

Così, l’autore le butta lì le sue provocazioni, con l’eleganza di un passaggio capace di far germogliare un fiore, con la generosità di vederlo schiudere e con la delicatezza di lasciarlo incolto, a continuare di vita propria, perché la dignità si dona anche nella separazione.

Perché il discorso dell’autore è sempre maieutico, non prescinde mai dall’interlocutore, inchioda alla responsabilità primordiale dell’uomo pensante che se la deve giocare evitando di raccontarsela e assumendo su di sé la cifra di quello che vuole essere.

Se quanto rimane ‘inevaso’ è la possibilità di continuare a stare insieme agli amici, ebbene, la letteratura è proprio quella materia che pone riparo a questa enorme assenza, dandoci l’occasione di vivere continuamente in una dimensione di amicizia che è la cifra della civiltà.

Il discorso sull’uomo in quanto viaggiatore radica la sua storia nella condizione dell’esodo nella quale è incardinata quella dell’assenza del nòstos.

“Odissei senza nòstos” grida che il viaggio della conoscenza contempla partenze e ripartenze in una serie di approdi che non possono essere definitivi.

Perché essere presenti a se stessi, e poterlo essere per gli altri, impone la realizzazione di un ritorno, ma implica che le strategie per realizzarlo e il tentativo di non perdersi lungo il cammino, siano destinati a fallire.

L’immanenza nella sua valenza ontologica richiede una sua continua collocazione sullo sfondo storico, perché in questo c’è consapevolezza, presenza, riconoscimento.

Mi sembra che il discorso letterario dell’autore verta sulla capacità tutta nostra di saper armonizzare i suoni del canto delle sirene, che questo sia il senso estetico in grado di generare una bellezza.

Mi sembra che Odissei senza nòstos dica che il viaggio è il cuore del discorso, che la narrazione è fatta della nostra capacità di cogliere gli accenti musicali del canto fascinoso delle sirene per poterlo dirigere a modo nostro in una dimensione resistente di amicizia, che è civiltà, che è libertà, che è solidarietà, che è altruismo, che è letteratura, che è democrazia.

(di Massimiliano Forgione)
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