Carnevale: il senso psicologico e mitico della “festa dei pazzi” [LIBRO]

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Psicologia Carnevale Psiche

Psicologia e Carnevale: la festa della follia. Cenni storici e psicoculturali.

di Pier Pietro Brunelli.
(psicoterapeuta e autore del bellissimo libro “Carnevale e Psiche” edito da Moretti & Vitali)

Nella tradizione medievale il Carnevale è la “festa dei pazzi” per antonomasia (festum stultorum), celebrata persino nelle chiese, poiché, evidentemente, l’austera dottrina cristiana doveva scendere a patti con un’impulsiva voglia popolare di trasgressione.

C.G. Jung nel suo saggio sulla figura psicologica del “Briccone” esamina l’usanza medievale di celebrare le feste carnevalesche anche in chiesa, e riporta la seguente citazione tratta dal Glossarium mediae et infimae latinitatis di Du Cange:

“Proprio al momento del servizio divino, uomini con il volto ricoperto da maschere grottesche o travestiti da donna, da leone o da attore, eseguivano danze e cantavano nel coro canzoni indecenti; mangiavano piatti grassi appoggiandosi all’altare, accanto al prete che celebrava la Messa; giocavano ai dadi, incensavano il tempio con fumo ottenuto bruciando le vecchie suole di scarpe, correvano e saltavano per tutta la chiesa” (Du Cange, 1733-36 citato da Jung).

Carnevale Psicologia
Carnevale e Psiche (P.P.Brunelli)

La ‘pazzia carnevalesca’ è quindi da intendersi come un temporaneo sovvertimento di regole, ruoli interpersonali, canoni religiosi e della civiltà, in nome di una spontanea e propiziatoria ludicità collettiva.

Per dirla con un grande studioso della semiotica e della logica come C.S. Peirce, il Carnevale appare come una festa che impiega in modo simulacrale la pazzia contro il “fissarsi della credenza”.

La pazzia è una sciagura, ma per molti aspetti è anche una forza straordinaria. Un pensiero che va da Platone ad Erasmo da Rotterdam, fino a Nietzsche e a diversi movimenti di pensiero artistico del XX secolo, ricava dalla follia una sorta di invasamento illuminante, una capacità di vedere ‘oltre la ragione’.

Il Carnevale ha una sua coscienza ribellistica che, attraverso la ‘pazzia festosa’ dei dominati, mira a stigmatizzare e a denunciare la ‘pazzia dei dominanti’. Il Carnevale dunque esalta ludicamente gli aspetti trasgressivi e liberatori di un’euforizzante pazzia compensatoria.

Non è solo un gioco scherzoso, è anche un’indicazione affinché credenze e convinzioni sclerotizzate da pregiudizi e ipocrisie collettive possano essere fluidificate ed elaborate.

Perciò attraverso un dionisiaco stato di ‘controllata’ ebbrezza collettiva, la comunità fa festa riconoscendosi in un conviviale desiderio di creatività, solidarietà e libertà.

Psicologia storica del carnevale
Psicologia storica del carnevale

La messa in scena ‘socioterapeutica’ della follia a Carnevale è consentita da un vigile principio coscienziale artemideo, che congiunge ombra e luce, nella magia salutare della natura e della luna, nella
danza e nella festa.

Ecco che a Carnevale la stramberia che innesta il ridicolo nel male è in ‘ragione’ di un riso nel quale riecheggia la pazzia, la perdita del senno – non per la conquista di una felice regressione rimbecillente, ma per esprimere una sorta di popolare Elogio della follia (Erasmo).

L’imponderabilità del Carnevale sta nella sua stessa natura; esso celebra il tempo intercalare: la ‘terra di mezzo’ in cui si confondono i ‘misteri del buffo e del tremendum’ e le coordinate della ragione si intersecano con quelle della follia.

Il Carnevale mette in rilievo ‘positivamente’ gli aspetti negativi dell’Ombra collettiva, quindi mette in luce il ‘male’ che per ragioni di potere, invece di essere elaborato viene occultato e rimosso sotto manipolatorie maschere moralistiche di facciata. Carnevale rovescia queste maschere opportunistiche ed ipocrite, e irride collettivamente a ciò che nella beffa ormai non possono più nascondere.

Carnevale. La festa del mondo
Carnevale. La festa del mondo

René Guénon osserva che il senso del Carnevale consiste nel “canalizzare” le tendenze inferiori e pericolose per la società, al fine di: “renderle il più possibile inoffensive, dandogli l’occasione di manifestarsi, ma solo per periodi brevissimi e in circostanze ben determinate”.

Quindi Guénon così riassume il senso del Carnevale e della maschera carnevalesca:

“[…] le maschere di carnevale sono generalmente orride ed evocano il più delle volte forme animali e demoniache, tanto da essere quasi una sorta di ‘materializzazione’ figurativa di quelle tendenze inferiori, o addirittura ‘infernali’, cui è permesso così di esteriorizzarsi.

Del resto, ognuno sceglierà naturalmente fra queste maschere, senza neppure averne una chiara coscienza, quella che meglio gli conviene, cioè quella che rappresenta quanto è più conforme alle sue tendenze, sicché si potrebbe dire che la maschera, che si presume nasconda il vero volto dell’individuo, faccia invece apparire agli occhi di tutti
quello che egli porta realmente in se stesso, ma che deve abitualmente dissimulare (ibidem).”

La elaborazione collettiva dell’Ombra attraverso simboli, miti e riti del Carnevale consente una ‘presa di coscienza dell’Ombra individuale e collettiva, e ciò acquisisce un senso psicoculturale e sociale terapeutico, che ciascun membro della collettività ha la possibilità di partecipare e di cogliere, a prescindere dal ceto sociale, dalla cultura e dalla moralità.

Spiega Carl Gustav Jung:

“In ogni circostanza è sempre un vantaggio poter disporre pienamente della propria personalità. In caso contrario i contenuti rimossi non fanno che riemergere altrove ostacolando il cammino: e riemergono non già in momenti insignificanti, ma proprio nei punti più sensibili. Se però gli uomini vengono educati a intendere chiaramente il lato ombra della loro natura, è sperabile che possano comprendere meglio anche i loro simili e cominciare ad amarli. Meno ipocrisia e maggior conoscenza
di sé non possono che agire beneficamente ai fini di una migliore considerazione del nostro prossimo; siamo troppo proclivi a trasferire sui nostri simili l’ingiustizia e la violenza a cui sottoponiamo la nostra stessa natura.” – Jung, C.G. Psicologia dell’inconscio, 1943, Torino: Boringhieri,
1983 5^ed – p.48

Dare la possibilità all’Ombra collettiva di rappresentarsi consente di integrarla attraverso una sua ‘com-prensione’ tradizionalmente e socialmente elaborata.

Gli Archetipi dell'inconscio collettivo (C.G. Jung)
Gli Archetipi dell’inconscio collettivo (C.G. Jung)

Come osserva l’etnologo Alfonso Di Nola, nella rappresentazione carnevalesca sono diagnosticabili ‘quadri clinici’ francamente psicopatologici, ma il loro scopo è quello di rappresentare all’Ombra individuale e collettiva in una dimensione conviviale di liberatorio ‘decontrollo controllato e autogestito dalla comunità’:

“[…] fenomeni di trasgressione/liberazione, con annullamento del modello corrente e quotidiano emergono anche nell’area dei disturbi nevrotici/psicotici.

Il mascheramento (identificarsi testualmente o anche negli abiti con un personaggio illustre), l’esibizionismo sessuale, la rottura del linguaggio normale, ecc. sintomatizzano un arco molto ampio di disturbi presenti nei deliri di grandezza, nelle paranoie, nelle sindromi persecutive, nelle idee fisse, ecc.

Questi paralleli consentono di spiegare perché il carnevale (o le feste parallele) assumono carattere e nome di “feste dei pazzi” o dei folli. L’analogia con i livelli psicopatici consente di trovare, nelle feste e nelle sindromi, il medesimo e unico bisogno di destrutturate le categorie del reale e i sistemi di logica: con la fondamentale differenza che le manifestazioni carnevalesche collettive hanno un codice socialmente decifrabile e si calano in un tempo obbligato calendariale o occasionale, laddove manifestazioni psicopatiche hanno un codice collettivamente decifrabile e risolvibile soltanto in sede di analisi amnestica e, inoltre, debordano ogni limite di tempo obbligato.”

Di Nola, A. 1987 “Carnevale e trasgressione” in Dini, V. (a cura di) 1986 Cultura del Carnevale e della festa. Tempo, corpo, maschera, infelicità, Bologna, Il lavoro editoriale, pp. 48-49

Carnevale Psicologia
Carnevale e Psiche (P.P.Brunelli)

Nei termini di una ‘terapia psicoculturale’ il Carnevale può essere ben riferito a quanto scrive lo etnopsichiatra Piero Coppo sulla “ritualizzazione della devianza”:

“Per arginare le minacce di disfacimento, le culture hanno dispositivi capaci di assimilare, neutralizzandolo, ciò che rischierebbe di introdurre disordine nell’ordine: ne è un esempio la ritualizzazione della devianza […] che comprende una grande varietà di manifestazioni e protocolli, dai carnevali alle terapie[…].

Ogni cultura sta in equilibrio tra colto e incolto, tra organizzazione e caos. Non cessa di lavorare i limiti, dove si susseguono esplorazioni e sperimentazioni a opera di singoli e gruppi. Ha un piede da una parte e uno dall’altra, posizione necessaria per gli umani.

Se essi si sbilanciano troppo verso l’ordine, perdono contatto con le sorgenti caotiche della forza vitale, con le radici immerse nella trasmutazione perenne: allora inaridiscono, si riducono a macchina e muoiono. Se invece si sbilanciano troppo verso l’incolto, ne sono invasi e perdono il necessario contatto con l’ambiente e ogni possibilità di controllo sul divenire.” –
Coppo, P. Tra psiche e cultura. Elementi di etnopsichiatria, 2003, Torino, Bollati Boringhieri, pp. 121-122.

Il Carnevale dunque può essere considerato non solo come ispiratore di principi curativi, ma anche come evento di animazione ‘arteterapeutica’ da impiegarsi nell’ambito di determinate situazioni gruppali e di comunità ove è centrale il problema della devianza.

Tuttavia la devianza è una questione che riguarda anche la società nei confronti degli individui, nel senso delle ingiustizie e delle sofferenze che gruppi di persone e a volte interi popoli devono sopportare a causa delle contraddizioni politiche ed economiche.

Il riferimento più evidente va ai profughi e ai rifugiati i quali, nonostante il pietismo di facciata, sono considerati quasi sempre come un problema da contenere e da respingere, piuttosto che come la conseguenza economica politica e sociale di un’Ombra collettiva che si ammorba di ignavia, intolleranza e dominazione fondata sulla prepotenza delle armi e dei profitti.

Il Carnevale dunque può diventare una occasione di incontro umano rigenerativo nell’ambito di tutte quelle situazioni in cui il male in quanto malattia, devianza, ingiustizia, delinquenzialità, deve essere elaborato e non può essere rimosso nell’Ombra.

Questo ‘male diffuso’, mentale e culturale, personale e collettivo, interiore ed ambientale, per essere affrontato in modo terapeutico, nella collettività e nell’individuo, ha bisogno di un suo momento carnevalesco, di una sua creativa emersione dal mondo infero.

Esso si rappresenta nelle maschere brutte o ambiguamente belle del carnevale, nelle sue licenze scurrili e beffarde, nella sua corpulenta e pantagruelica animalità, nell’affermarsi collettivo del ‘principi del piacere’ (cibo e sesso), così come nelle sue usanze e ritualizzazioni corribantiche, teatrali, leggendarie, ludiche, clownesche, danzanti e canore…

(di Pier Pietro Brunelli – psicoterapeuta)

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Carnevale Psicologia
Carnevale e Psiche (P.P.Brunelli)

FINE.


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Fondatore del Jung Italia. Psicologo Clinico. Originario di Salerno, vivo a Roma. Fin dall'età di 14 anni ho iniziato ad interessarmi alla filosofia occidentale e orientale e all'età di 17 anni scopro Jung. A 21-22 anni iniziano le mie attività di pubblicazioni tramite riviste di psicologia e interventi in qualità di ospite o relatore presso convegni e seminari di psicologia. Nel 2012 conosco in Svizzera uno dei nipoti di Jung, e l'anno successivo mi concede un'intervista speciale in occasione della presentazione del "Libro Rosso" alla biennale di Venezia. Attualmente collaboro e lavoro come psicologo o studioso indipendente con associazioni, riviste scientifiche, scuole di psicoterapia e con diversi autori dell'ambito accademico e non. I miei studi d'approfondimento vertono sugli sviluppi odierni relativi alla psicologia complessa (analitica) e sulle ricerche inerenti il versante "Psiche e Materia".

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