
Se il mondo ha un’anima, allora ciascuna cosa manifesterà a suo modo «coscienza e affetti» e la percezione immaginale così rinnovata potrà prendersi cura anche dell’anima individuale, salvando l’uomo dal nichilismo del mondo moderno.
Frigoli Diego, I sogni dell’anima e i miti del corpo, Magi Roma, 2019, pp. 37
Carissimi lettori,
oggi vi presento questo interessante libro assolutamente contemporaneo dello psichiatra e psicoterapeuta Diego Frigoli, che dal 1985 è fondatore e Presidente dell’Istituto ANEB (Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia)

Di cosa parla il libro?
Le forme della natura, il corpo dell’uomo e il linguaggio della psiche come strutture coerenti del divenire cosmico.
Gastón Bachelard, nell’affrontare la complessa questione del rapporto tra immagine e istinto, non esita ad affermare che l’uomo, nella sua vitalità biologica, è prima di tutto «corpo e istinto» , ma mentre nell’animale l’istinto diventa azione e comportamento, nell’uomo si trasforma in immagine.
In quest’opera non viene trattato solo il Korper (corpo anatomico) o il Leib (corpo soggettivo) dei fenomenologi, ma il corpo come “forma” dell’archetipo (mandala dell’universo), recuperando così la relazione tra il DNA, la storia dell’evoluzione, la cultura dell’uomo e il suo rapporto con la natura.
In questa prospettiva il rito e il mito si pongono come “storia sacra” in grado di realizzare l’unione consapevole con l’esperienza primordiale antropologica che riconosce nel simbolo e nell’analogia la grammatica necessaria a permettere l’accesso all’archetipico.
Attraverso questa antropologia simbolica l’uomo, grazie all’immaginario ecobiopsicologico, può aprirsi ad un sapere che spazia dall’Io individuale al Sé archetipico, dall’evoluzione della natura e delle forme viventi alle immagini archetipiche corrispondenti, sino a permettere un nuovo sincretismo della coscienza che pone al centro quel fantastico trascendentale costituito dal linguaggio dell’anima.
Pertanto il mito, inteso come costruzione di immagini archetipiche fra loro integrate, e il rito, come esperienza concreta di unione con il sacro, trovano nella loro reciproca corrispondenza di linguaggio la stessa affinità che esiste fra l’istinto presente come “potenza vitale” dell’evoluzione, e lo sviluppo della coscienza dell’uomo.

Ad esempio, l’albero, non rappresenta solo una forma del mondo vegetale, ma nell’uomo corrisponde anche ad un suo atteggiamento, quando alzando le braccia al cielo le concepisce come i rami simbolici che si spingono verso l’alto, mentre le dita dei suoi piedi affondano come radici nel terreno.
Sul piano del corpo l’albero è anche equivalente all’albero circolatorio, i cui rami si portano verso il cervello mentre le sue radici si immergono negli intestini, traendo da essi il nutrimento necessario alla vita.
In termini spirituali l’albero con la sua verticalità diventa un simbolo perfetto della vita, della saggezza e della realizzazione dell’Uno e del Molteplice, proprio come i nostri pensieri, simili a innumerevoli foglie, si possono aprire alla scoperta dell’Infinito e del Trascendente.
Alla luce di quanto esposto il mito – di Narciso, di Atteone, di Marsia, di Mida, di Priapo, di Min – assume il significato di un linguaggio affondato nelle radici del corpo collettivo, nella filogenesi cioè, che si riverbera nell’ontogenesi umana come ricapitolazione per tappe accelerate dell’evoluzione della coscienza.
Attraverso i sogni e le immagini archetipiche, mediati dai simboli e dalle analogie vitali, può essere possibile all’uomo rievocare consapevolmente il tempo passato dell’evoluzione biologica concordante con la dimensione dell’evoluzione delle rappresentazioni della coscienza, affinché la madrelingua dell’Io possa avvicinarsi sempre più alla verità del Sé.

