
Questo piccolo articolo tratta dell’importanza fondamentale che l’archetipo di Dioniso riveste nel fare analisi. Ciò che segue è estratto dal libro “Maestri per l’Anima“, dell’analista junghiano Noel Cobb, edito da Moretti&Vitali.

«Questo capitolo inizia e si conclude con Dioniso, Dio del teatro, ma anche struttura archetipica della coscienza, fondamentale per una terapia che voglia evitare l’intrinseca misoginia di una psicoanalisi che abbia Apollo come suo archetipo dominante.
Il primo ad affermare questo punto di vista fu James Hillman durante le Conferenze Eranos del 1969 – in un testo che adesso è il terzo capitolo del “Il mito dell’analisi”.
In quell’occasione avanzò l’ipotesi che la coscienza analitica fosse attualmente governata da una struttura archetipica che favorisce il maschile rispetto al femminile, il principio della luce, dell’ordine, della distanza, rispetto al coinvolgimento emozionale – insomma, quello che chiamiamo apollineo in opposizione al dionisiaco.
Mettendo in evidenza i pregiudizi sia della cultura classica, sia della psichiatria classica, Hillman sosteneva che questi campi sono in gran parte in collusione contro il dionisiaco, cosa che porta a una repressione, e quindi a una distorsione, di tutti i fenomeni dionisiaci, che hanno finito così per essere considerati inferiori, isterici, effemminati, sfrenati e pericolosi.
Se invece Dioniso fosse inteso come il “Signore delle anime”, la psicoterapia non potrebbe permettersi di coltivare di questo Dio concetti ingannevoli.

In realtà, diceva allora Hillman, “questa dominante archetipica è sicuramente il sine qua non di ogni psicologia del profondo che voglia essere terapeutica”.
Su Dioniso dunque è stata proiettata un’ombra, e c’è rimasta già abbastanza; adesso è l’ora che venga ritirata. Di ombra, questo Dio ne ha già abbastanza di sua, del resto, contrariamente a quello che comunemente si crede, per Hillman
“l’Ombra non è un archetipo separato ma è archetipica; ogni Dio contiene l’Ombra e la proietta a seconda del modo in cui dà forma a un cosmo. Ogni Dio è un modo in cui siamo messi in ombra.”
L’Ombra è inevitabile – e un Dio di sfumature e di ombre rende questo fatto più evidente di quanto non faccia un Dio di pura luce.
In questi ultimi anni, una risposta all’invito a rivalutare Dioniso c’è stata, ma è venuta non tanto dagli analisti, quanto da persone legate al teatro o alla teologia. Qui vorrei far mio l’invito di Hillman a una coscienza dionisiaca […]
Al cuore del mistero dionisiaco c’è l’ambiguità: il Dio che è il principio di zoe, la vita indistruttibile, è al tempo stesso il Dio della morte e dei morti. E non è questa l’unica ambiguità. Ne troveremo altre; per cui potremmo chiamare Dioniso “il Dio dell’ambiguità”.
“Ci presenta fenomeni di confine – dice Hillman – tanto che non si può dire se sia folle o savio, sfrenato o sobrio, sessuale o psichico, maschile o femminile, conscio o inconscio…Governa le zone di confine della nostra geografia psichica.E lì che si svolge la danza dionisiaca: né questo né quello, un’ambivalenza – e questo suggerisce anche che dovunque compaia un’ambivalenza, lì è possibile una coscienza dionisiaca. […]
Al cuore e al centro del culto di Dioniso, fin dai primi tempi – come ricorda Hillman – sta il bambino, il mistero del prendersi cura e della rinascita psicologica attraverso le profondità del mondo infero.

[…] Il contatto con Dioniso non è mai possibile, senza un simultaneo battesimo nelle acque oscure della morte.
Con Dioniso qualcosa deve sempre morire. Comprensibilmente, ciò che deve morire, o comunque essere considerevolmente indebolito o allentato, è la coscienza apollinea, che tende al logos razionale, alla gerarchia, al monoteismo, alla misoginia, e a un’altezzosa distanza dalla morte e da ciò che è oscuro. […]
[…] Kerenyi ricorda che Dioniso, “in uno dei suoi appellativi, è uomo e donna in un’unica persona…era bisessuale in primo luogo, e non semplicemente nelle sue tarde raffigurazioni “effemminate””. […]
[…] Le moderne descrizioni di Dioniso danno spesso importanza a determinati aspetti, come l’irrazionalità dell’esperienza religiosa, ma, come rileva Hillman, ci sono anche altri aspetti che meritano la nostra attenzione: l’immobilità, l’anima e la morte, il vino, il matrimonio, il teatro, la musica e la danza, la natura vegetativa e l’istinto animale con le sue leggi conservatrici dell’autoregolazione, e il fluire della vita negli eventi comunitari.
Aspetti che è necessario tenere ben presenti, altrimenti, invece della creativa ambiguità dell’archetipo, non resta altro che uno stereotipo privo di qualsiasi valore.
Dioniso scioglie i grovigli nel vino; rinforza la presa nell’edera. E’ difficile da afferrare, come un serpente che si contorce; e tuttavia è essenzialmente immobilità totale. La musica giunge a lui dai suoi devoti.

Essere ubriaco di questo Dio vuol dire entheos, ripieno del Dio, “entusiasmato”, e tuttavia completamente concentrato, come un derviscio che cammini su un letto di carboni ardenti.
(…) Bere senza avere rispetto dell’estetica dionisiaca, significa aumentare la pressione di Dioniso, fino al punto che sono possibili solo atti di bruttezza e di stupidità.
La vendetta di Dioniso nei confronti di chi rifiuta la sua coscienza bisessuale la troviamo in quegli stati bestiali di ubriachezza e di alcolismo cronico del maschio convenzionalmente “normale”, così come nei rolli improvvisi e nelle depressioni suicide di individui che sono in modo unilaterale letteralistici.
Dobbiamo imparare a bere in onore di quel Dio, a ubriacarci di lui, a danzare con il suo spirito, a distillare la sua follia rituale in una metafora attuale. (…)
La repressione di Dioniso porta a una sorta di “menadismo nero”, a un’isteria in cui il bersaglio è la coscienza apollinea razionale, la testa di Penteo. […]
Un indebolirsi della modalità dominante della coscienza eroico-apollinea, infatti, comporta un amore per ciò che è inferiore, un momento verso il basso, e in vita a retrocedere…[…]»
di Noel Cobb – Maestri per l’anima – Edizioni Moretti e Vitali, 1999
