
Questo racconto che segue è una composizione derivante da un’immaginazione attiva che feci nel 2017, partendo da alcune immagini di miei sogni. In origine questo racconto lo utilizzai – intervallato da musiche orchestrate di film – all’interno di un convegno di psicologia che aveva come tema proprio il concetto di “Terrore”.
TERRORE:
etimologia = dal latino TERROREM = faccio tremare, impaurisco, muovere qua e là, agitare. Spavento grande segnato del color pallido e tale da produrre tremito nelle membra, da far piegar le ginocchia a chi ne è colpito.
Buona lettura!
Un racconto sognato,
un sogno raccontato.
(di Emanuele Casale)

«D’amore
d’inverno
un sole nascente brillava nella morte
di questi tempi.Cercavamo un Dio…
era come un richiamo d’infanzia
un richiamo d’amore
una presenza a cui eravamo abituati
perché da lui discendevamo.Non in alto
né in basso,
nei volti familiari e propri vi è ancora quella presenza
che non cambia
mai.»
(Emanuele Casale)
– 1′ Parte
« – Com’era la fine del mondo?
Gli chiese Baldabiou
– Invisibile. »
(Alessandro Baricco – Seta)
Ascoltiamo soltanto le storie che ci appartengono, e questo vale anche per gli incontri. Ma ogni incontro è sempre incarnato in una storia che lo supporta.
A volte, durante un sogno, possiamo scorgere – magari poi dimenticandocene – il significato di una vita, tutto quanto.
Tanto tempo fa, ho vissuto di notte un sogno che fu una vita, una vita che era terrore e amore, amore e terrore… Dovevo ancora attraversare alcune delle vicissitudini più grandi per poter arrivare a vedere questo sottile filo che lega amore e terrore… Alla fine del sogno era un filo che riluceva.
Nel pieno del terrore delle nostre vite vi è ancora e sempre un filo d’oro, nel terrore più profondo vibra una luce…
Alla fine di questo sogno vedremo questo filo che unisce amore e terrore.

– Sogno
Sono in un parco, seduto, leggendo un libro, poche persone attorno, c’è uno strano verde nell’erba, negli alberi…
C’è quel silenzio assordante tipico dei sogni importanti, rivelatori, che riguardano molti.
Ho colto un fiore nel prato. Ricordo che quel fiore era come se fosse il mio fiore, un ricordo antico, un ricordo d’amore… Mentre lo guardo scompare dalle mie mani, nel nulla.
Scorgo poco lontano da lì Albatros, il mio vecchio maestro e amico, sta procedendo da lontano verso di me… Dalla sua andatura inizio a comprendere che nell’aria di quel mondo vi è una sospensione, una tensione…
– “Sei qui mio caro Mirreil!”, mi esclamò Albatros.
“Dobbiamo sbrigarci, preparati. Qualcosa è andato via, ed è come scomparso per sempre. Ci sono cose che vanno via sulle punte dei piedi. Sono perse per sempre. Sta cadendo un mondo…”.
Queste parole del vecchio Albatros rituonarono dentro di me, un terrore mi pervase il corpo.
– “Che cosa abbiamo perso Albatros…che cosa è andato via?”
– “Sono andati via i morti, quei morti che ancora vivevano presso di noi, nei nostri cuori, nelle loro attese, nei loro sogni non sognati aspettando di essere sognati e realizzati da noi. Insieme a loro sono scomparsi anche molti vivi. Ti sei domandato perché ti trovi qui, ora?”
Non sapevo stessi sognando, ma nel sogno riuscivo a riflettere sulla domanda di Albatros.
Perché ero lì? Sapevo non fosse un sogno, ma allora cos’era? Dov’era casa?
Si, mi chiedevo dove fosse casa perché sentivo tutto ad un tratto che essa mi fosse stata strappata via.
Vi era stata una dipartita, su scala mondiale. Molti di noi avevano perso alcuni dei loro cari, dal nulla, svaniti semplicemente così come erano arrivati: dal nulla venuti e nel nulla finiti. Sembra questo un antico detto orientale.
A cosa serviva questo sogno…? All’epoca non potevo saperlo.
Se avessi saputo che noi viaggiamo in mondi altri, alle volte, attraverso i sogni, per poter salvare qualcuno, qualcosa, nel nostro mondo… Se avessimo saputo questo… Poter cambiare il mondo, l’angoscia e il terrore umani, attraverso un sogno… Se lo avessimo saputo dall’inizio… e allora?
È questa una domanda eterna… e allora?
L’aria si fece sempre più rarefatta, il paesaggio iniziò a scurirsi, e qualche foglia cadde dagli alberi autunnali del parco. Erano le loro ultime foglie. Erano quelli i morti che erano andati via, proprio come le foglie, senza fare rumore, senza sforzi. Una dipartita improvvisa, silenziosa, eppure tuonante nei nostri cuori, reale, possibile, presente, schiacciante…
Il paesaggio ora mutava, il parco si trasformava in una grande distesa naturale arida, erano dei canyon, tutto attorno era silenzioso, c’era all’orizzonte il sole al tramonto, a fianco a me c’era soltanto Albatros, che sembrava pronto ad una lunga camminata per raggiungere una meta che avevamo in comune.
Eravamo stati come teletrasportati lì all’improvviso, erano altri tempi, non so dire se fosse il futuro o un passato ancestrale. Eravamo stati spostati in un altro mondo. Albatros mi guardò come a dire “Si, è così, siamo altrove”.
Nel mondo dal quale provenivamo era come accaduto qualcosa, di irreversibile.
Cosa significava quella dipartita di così tanti esseri umani? Era sogno o realtà? E perché eravamo così lontani da casa?
Mi chiesi se realmente fossimo mai stati a casa fino a quel momento…era questa una domanda che faceva tremare, non avevo il coraggio di chiederlo ad Albatros, lui conosceva la risposta, e credo che in quel viaggio si declinasse il senso di tutto ciò…
Avevamo perso all’improvviso alcuni dei nostri cari, all’improvviso, come il fiore svanitomi di mano, in quel parco…
Presto avrei scoperto cosa stava accadendo…
Sentii una voce in sottofondo, veniva come dalle profondità del sogno stesso, e diceva:
«Non scordare:
noi camminiamo sopra l’inferno,
guardando i fiori.»
[simple_tooltip content=’Poesia Haiku, giapponese, di Issa (1763-1828)’]**vedi nota**[/simple_tooltip]
– 2’ PARTE
«Dall’alto o dal basso
una luce sta arrivando
per svelare, dal buio di queste decadi,
ciò che in basso chiedeva di essere scrutato.Un vento spira sullo sfondo di queste barriere umane,
fittizie, troppo umane,
esso porta con sé l’odore e le immagini di una devastazione incombente
che avanza e non ha freni.La luce che troppo a lungo è stata maltrattata e soppressa
in contenitori troppo piccoli,
cresciuta nei bui delle sue solitudini,
diviene incandescente, inizia a bruciare,
si trasforma ingigantendosi per poter uscire,
distrugge il suo contenitore,
giacché in esso non vi riconosce più un mezzo, bensì un ostacolo.Essa sbaraglierà tutto indistintamente.
La sofferenza e il dolore dilagheranno nei cuori,
senza più dighe che li contengono,
l’unica salvezza sarà nel comprendere questa sofferenza,
l’unica àncora nel restarle vicino,
l’unico spiraglio nel riconoscerne in essa un senso.Le difese e i muri innalzati dall’uomo crolleranno,
servirà che essi crollino, ma non avverrà con dolcezza, non con amore (esso non è bastato),
ma per necessità.Laddove l’amore non è riuscito, cos’altro rimane per guarire?
L’amore dell’uomo è un amore di un più lucente chiarore di quello del Dio,
più caldo, “…in qualche parte l’amore è più grande di Dio…” (scriveva Giacomo Boehm).L’uomo è l’unico essere che può andare contro se stesso autodistruggendosi
l’unico essere a poter divenire il miglior amico o nemico di se stesso.Laddove fallisce l’uomo, con i suoi mezzi,
interviene spietato e necessario lo spirito del profondo.»
(Emanuele Casale)
Cosa stava accadendo al mondo, cosa stava accadendo a tutti noi? Non era un sogno…
Un terrore agitava il cuore di tutti noi, nel profondo. Il terrore verso qualcosa che è interno.
Qual è il terrore più grande che ci abita? morire? ammalarci? perire? la guerra?
No, il terrore è quello di perderCi, per sempre, perderCi negli occhi di altri esseri umani di cui non riusciamo più a sentirne la connessione. Il terrore più grande è non saper ri-conoscersi l’un l’altro. Perdere la connessione.
È come tornare a casa e trovarvi la propria donna, un proprio figlio, un proprio padre e madre, e sapere che essi non vi riconoscono più, sono come svaniti, con la memoria evaporati, la connessione irrecuperabile.
La forma umana era finita, il modello di essere umano era collassato su se stesso.
Era come se qualcosa nel cosmo, nell’universo, avesse con tutte le proprie forze cercato di far evolvere l’essere umano, ma non ci fosse riuscito, è come se alla fine – disperata quasi – questa forza abbia optato per un collasso, uno svanimento, un’annullamento, un sacrificio…

“Molte sono le vie per le quali Dio può isolarci e ricondurci a noi stessi. Stava finendo un mondo…” (H.Hesse) E io e Albatros eravamo testimoni di questo passaggio, e non solo, secondo lui avevamo da compiere dei passaggi noi stessi…
La sofferenza che dilagava anche nei cuori felici, sottesa e sommessa, era diventata così grande da richiedere una redenzione. Gridava sommessa, ma nessuno ascoltava, erano secoli che andavamo avanti così…
In ogni uomo e in ogni donna vi era un grido sommesso, assordante eppure inascoltato.
Al cospetto di quell’orizzonte arido, nel pieno della natura più selvaggia, con Albatros, iniziai a sentire un urlo, delle urla, delle grida, dei boati enormi, come provenienti dal cielo, ma erano in me… erano urla di milioni di altri, mi abbatterono, mi accasciai a terra tremante, durarono alcuni secondi: mi trapassò per un attimo la sofferenza del mondo intero, il terrore più agghiacciante che ogni singolo uomo e donna potessero provare in un punto qualsiasi di questo pianeta, sentii i loro terrori dentro di me…
Cambiai per sempre in quel momento, sognavo e cambiavo, quel sogno era un brano del mio destino, e al tempo stesso del destino di molti.
Ebbi paura ma Albatros fece un passo indietro, e incalzò dicendomi:
“Sei perduto, sei lontano, fa freddo qui fuori, ci sono dei piccoli rifugi qui nei paraggi nei quali potersi stabilire anche per un lungo periodo di tempo…ma non staresti dove dovresti essere.
Qual è il tuo terrore più grande? Provala ad osservare in questi termini Mirreil: cosa faresti se potessi sbirciare all’interno di un tunnel lunghissimo che rappresenta il tuo cammino, di cui però non scorgi neanche la fine, cosa faresti se scorgessi all’interno di questo tunnel le cose più strane, le cose più infernali, disperazione e stragi, deserti di solitudine fatti di ghiaccio…
cosa faresti se scorgessi tutto questo ma sapessi con certezza che è solo alla fine di quel tunnel che si trova la tua casa, il tuo luogo? Cosa faresti Mirreil? Guardati ora…
Non sei a casa, non sei alla fine di quel tunnel, ci sei appena entrato…e allora…Non attraverseresti l’inferno pur di tornare in qualche modo a te stesso?
Di tutto questo mondo cos’è che poi ci appartiene se non noi stessi e gli affetti che dentro di noi ci sorreggono, ci affliggono, ci nutrono e ci connettono ad altri?
Mirreil, è questo che ci fa dismettere dall’intraprendere tale viaggio verso casa… È che troppo spesso ci è difficile rimembrare com’era quel nostro luogo d’origine, quel proprio ed unico luogo… se solo ce ne ricordassimo, anche solo lontanamente, attraverseremmo qualsiasi inferno con il dovuto rispetto e coraggio, pur di ritornare lì, in quegli spazi a cui apparteniamo…
Approfitta di questo sogno, torna in te…”
Compresi in sogno che rimanere bloccati in quel viaggio era il vero terrore di ogni essere umano, il non sapersi mai, il non sapere l’altro, il non poter incontrarsi mai con l’altro perché si è mancati l’incontro dapprima con se stessi, con la propria casa interiore.
Solo da questo momento potemmo incamminarci io e Albatros, vecchio amico e maestro di sempre in questa vita.
Fu un’avventura incredibile, attraversammo i canyon, attraversammo paesi, deserti, grosse lande, freddi gelidi, ricordo scontri e duelli con sconosciuti ostili, fu la parte di sogno più oscura per me, di cui non ho avuto mai chiara memoria, lasciò in me il senso di un Odissea, è probabile che morii diverse volte, ricordo abissi oceanici immensi, animali e volti, facce, mani…
Fu come vivere una seconda vita in quello che mai fu un sogno, ma una vera e propria realtà sognata…
E così, alla fine giungemmo lì dove c’era il luogo,
il luogo che ci stava aspettando…

– 3’ PARTE
“Analogie segrete legano assieme le più remote parti della Natura, come l’atmosfera di un mattino d’estate è pervasa di innumerevoli sottilissimi fili, che vanno in ogni direzione, svelati dai raggi del sole nascente.”
(R.W.Emerson – da The complete Writings, vol. II. 949)
Giunti al luogo…
Io e Albatros ci abbracciammo, contenti. Ci salutammo per congedarci, ma come in genere si salutano le vecchie anime, con la consapevolezza che ci saremmo incontrati nelle innumerevoli vite che avevamo ancora da vivere, con altri nomi, altre facce.
Ci salutammo sulla soglia di quella nuova vita. Il terrore era ormai lontano, da quel terrore nacque un amore, che si estendeva da me a lui e all’umanità intera nella sua debolezza.
“Portami con te mio caro Mirreil. – mi disse Albatros – Quando ti sveglierai da questo sogno io non ci sarò più in questa forma a te conosciuta. Se ricorderai quel tuo fiore io arriverò dal profondo, ora hai ritrovato quel fiore, è riapparso. Ma sarò dentro di te, mi troverai lì, come le cose preziose ed ultime.”
Lo sguardo di Albatros fu per il giovane Mirreil una promessa mantenuta, il suo saluto fu un ritorno a casa. Gli parve di aver camminato tutta la vita…e di essere arrivato a casa soltanto ora
Albatros: Dove sei Mirreil?
Mirreil: A casa
Albatros: Dov’è casa?
Mirreil: …è dove coincido con me. Ho qui trovato l’infinito spazio per amare e creare.
Casa è dove hai spazio per essere,
per essere da solo con te
e da qui
Poter esserCi con qualcun altro,
Essere SENSO per l’altro.
Qui
È Casa.
Fu allora che mi svegliai dal sogno…

Amore e Terrore. Dopo il sogno, fuori dal sogno…
– 4′ PARTE (finale)
Amore e Terrore. Vi è una segreta simmetria tra questi due dei più grandi sentimenti umani. Entrambi finiscono con la desinenza “ore“.
E quanti di noi esseri umani viviamo delle “ore”, e quindi del tempo, del tutto diversi in presenza di terrore o amore?
Nell’amore il tempo si dilata, nel terrore si piega su se stesso, diventa infinitesimale, piccolo, non vi è aria in esso, chiude il cuore, chiude l’anima, piega le ginocchia…
E nel sogno? Come si vive un terrore nel sogno?
Fu proprio attraverso il suo sogno che Mirreil poté intuire che laddove vi sono terrori, si nascondono in tutta la loro potenza, nidificati, nucleari, protetti, particelle di amore che hanno da venire alla luce, particelle d’amore messe forse lì per abbracciare, un giorno, quel terrore dell’umanità intera, che spesso, sembra essere più grande della vita stessa, sembra essere più grande dei miliardi di cuori che vivono su questo pianeta.
Quanti terrori attraversano l’esistenza individuale e dell’umanità intera. A volte, ciò che ci unisce agli altri sono quelle cose che noi tutti temiamo. Siamo collegati a tutti i terrori del mondo.
È questo un pezzetto di storia, soltanto un pezzetto, della storia di Mirreil.
Erano insieme lui e Albatros a percorrere gli ampi cammini del destino individuale e al tempo stesso collettivo. Già, perché in fondo quale cammino individuale non è al tempo stesso un cammino del mondo intero, per il mondo, attraverso il mondo, nell’Anima Mundi.
Che ognuno possa trovare il fiore della propria esistenza individuale, l’unico proprio fiore, l’unico che va colto sull’orlo di un precipizio.
È questo che unisce gli uomini. È questo che ha fatto perdere gli uomini tra di loro, il non riconoscere che in ogni esistenza individuale nasce un fiore, antico più del portatore.
Abbiamo perso di vista il fiore, finimmo di non riconoscerci più l’uno con l’altro…
Che possiate trovarlo, quel fiore, per poter ritrovarvi di nuovo, tutti. Ogni viaggio senza questo fiore non sarà più possibile dopo questa dipartita. Ogni viaggio senza questo fiore è sempre un viaggio lontano dalla propria casa.
(echeggiando un passo dal Demian di Hesse)
“Non so se un giorno qualcuno come Mirreil o Albatros, rinnoveranno il mondo, ma si vedrà.
Dentro di noi però lo dobbiamo rinnovare ogni giorno, altrimenti non contiamo niente.
Se non siamo capaci di trovare noi stessi, non troveremo, credo, neanche gli altri.
Il mondo com’è oggi vuol perire,
e perirà.”
Ma…
Non è tutto qui… C’è sempre un qualcosa che risplende nelle profondità dell’inconscio, nelle prossimità della fine, alle soglie degli addii e di cieli nuovi, e questo qualcosa è sempre autonomo e inaspettato.
Come scrive la dott.ssa junghiana Elena Caramazza facendo parlare Panikkar in un suo sogno:
“la nostra vita sarebbe ben povera se non potessimo essere sorpresi da qualcosa che non sapevamo di avere…”
FINE.

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