– articolo di Patrizia Gioia –

Ieri pomeriggio, nell’elegante sala delle Gallerie d’Italia in piazza della Scala a Milano, a presentare Il libro dei sogni di Federico Fellini si sono alternati nel racconto Sergio Toffetti e Aldo Grasso, con la partecipazione di Sandra Milo.
Il Libro dei sogni è un diario, tenuto da Federico Fellini dalla fine degli anni ’60 fino all’agosto 1990, in cui sono fedelmente registrati i suoi sogni e i suoi incubi notturni sotto forma di disegni, o nella sua stessa definizione di “segnacci, appunti affrettati e sgrammaticati”.
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Un coloratissimo viaggio negli sterminati territori della fantasia di un genio, che ha permesso di aggiungere un’ altra tessera al mosaico creativo del Maestro.
I volumi originali sono custoditi nel Museo della Città di Rimini e saranno esposti nel Museo Internazionale Federico Fellini che inaugurerà questo anno in occasione del centenario della nascita del grande regista, il volume presentato è stato possibile proprio per il contributo del Comune di Rimini; città amata e odiata da Fellini, anch’essa non privata di quella ambiguità che vive nelle nostre vite, una battaglia interiore che ha necessità di conoscersi, proprio per evitare di metterla fuori la sua guerra.

E il libro di Fellini – come Il libro Rosso di Jung – è proprio di questo che racconta; è invito a noi tutti di penetrare nel magma incandescente che vive nel nostro centro interiore, un vulcano che ha necessità di eruttare e non di essere schiacciato e coperto di macerie, come invece i più fanno.
Conoscere te stesso che cosa significa?
Non certo guardarsi nello specchio ed esplorare rughe e pupille, ma sfondare quelle rughe ed entrare come uccello dentro la pupilla per vedere cosa c’è oltre la soglia di una realtà che noi crediamo scontata e che invece è solo la porta dell’Invisibile.
E i grandi viaggiatori sanno che il rischio del viaggio è quello di partire senza bussola e senza biglietto di ritorno.
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Il libro dei sogni di Fellini aiuta noi tutti ad incontrarli i tanti personaggi che ci abitano e che lui – da ironico direttore di Circo – ha così ben saputo far vivere nella grande pista sabbiosa e circolare che è la Vita; un caleidoscopio di facce, di seni, di sana follia, quella da domare e non da uccidere.

Durante l’incontro si son chiesti: ma chi era veramente Fellini?
Domanda – a mio sentire – inutile. Chi può rispondere a questo interrogativo?
Nessuno che abbia compreso che siamo un processo in continuo divenire e che la nostra identità è come un mosaico a cui occorrono sempre altre tessere e che non sarà mai finito.
Fellini lo sapeva e ci giocava, giocava sul filo dell’equilibrio, giocava con la bugia che non è altro che “maya”, finzione e inganno dei nostri occhi che non hanno immaginazione, che non hanno sogni e utopie, che non hanno più desideri e magie.
Fellini era un aspirante sensitivo – questo lo dico io – avendo letto dei suoi incontri con Gustavo Rol (uno dei più grandi sensitivi), era uno che ci voleva entrare in quel cerchio di fuoco dove non c’è separazione tra vivi e morti, dove gli spiriti evocati arrivano a saldare un cerchio il cui centro è in ogni luogo e la cui circonferenza in nessuno. Un aspirante sensitivo che però metteva in vita i suoi tentativi e ci riusciva, con gli attori e le attrici del suo Circo. Ma anche con noi.

Spirito immaginifico Fellini, genio della lampada, domatore di ombre, prestidigitatore maieutico, dicitore di parole magiche che svelavano per subito velare nuovamente le spalle degli dei.
Fellini amava come Mangiafuoco i suoi burattini, muoveva noi tutti con le sue manone da gigante, con quel suo cappellone da cow-boy e la frusta da domatore.
Ma che cosa domava?
I suoi demoni e le sue domande, domava il robusto suo erotismo per non farlo diventare violenza, domava il quotidiano, la normalità di finte buone maniere, le leggi non fatte per gli uomini, che la sua vestale Giulietta custodiva per lui nella stanza dai mille vestiti mai da indossare. Talismani per maghi.
Poco prima di morire, a Marcello Mastroiannni disse:
“non temere la morte, è l’inizio di un altro grande viaggio.”

Voglio credere a queste sue parole; mi piace di più credere ai visionari che a quelli che non hanno fantasia, che uccidono i sogni degli altri per la paura di vivere i propri.
Forza Federico, vieni ancora nei miei sogni e accendi quella tua musica da Circo, da banda di paese, da fanfara notturna che risveglia quel che in me, in tutti noi, vive e che solo un Maestro come te sa far mettere in vita. So che ti son sempre piaciuti i miei abiti bianchi e i guanti rossi che mi hai donato questa notte, non potevano essere dono più robusto per tenere in vita il fuoco della Vita…
Grazie Federico.
Che cosa ha di così interessante per noi tutti questo libro?
FINE.
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