Inconscio Psicologia Carl Gustav Jung
Estratto dal saggio di Peter Kingsley, “Catafalque. Carl Jung e la fine dell’umanità” (disponibile soltanto in inglese)

Levoci di Parmenide o Empedocle o Jung sono così disorientanti per le nostre menti consce perché ci stanno chiamando verso posti in cui la maggior parte delle persone ha perso il coraggio e la sapienza di andare.
Ricordi, sogni, riflessioni è il nome del famoso libro, pubblicato appena dopo la sua morte, al quale lui finì ambiguamente per riferirsi come alla sua “cosiddetta autobiografia”. E certamente contiene la sua propria voce – insieme con le voci della sua segretaria, dei suoi redattori, dei suoi editori. Molte mani esperte si sono unite per smussare e raddrizzare ciò che aveva detto; addomesticarlo; “renderlo roba da zie” trasformandolo in qualcosa che anche la più seriosa delle zitelle sarebbe felice di sentire; e discretamente, quando necessario, aiutarlo a sparire. Alcune delle cose che voleva dire sono riuscite a passare. Molte di quelle che ha provato a comunicare non ce l’hanno mai fatta. E anche se sopravvive una più o meno accurata annotazione delle memorie originali, che Jung stesso aveva dettato in un periodo di due anni, per molte informazioni su di esse non fu mai troppo facile fuoriuscire.
Una di queste cose che non ha mai visto la luce del giorno fu la sua risposta quando – durante la prima settimana di Ottobre del 1957 – gli venne chiesto di parlare onestamente della vera natura del suo lavoro. Mentre inizia a parlare, si può ancora sentirlo ridere.
Dichiara che il suo intero lavoro, tutta la sua presunta saggezza e le sue grandi conquiste, si riduce a questo: che cadde in un gigantesco buco dal quale in qualche modo, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto tirarsi fuori. Tutta la sua scienza, spiega, è derivata interamente dalle sue visioni e dai suoi sogni.
E questo è precisamente il motivo per cui nessuno gli ha mai prestato attenzione.
Jung sta dicendo che tutto ciò a cui ci si potrebbe riferire come la sua scienza in realtà venne a lui dagli Inferi; dalle visioni; dai sogni.
Ma proprio come gli insegnamenti di Parmenide sarebbero presto stati coperti, e la loro integrità frantumata da Platone insieme a molti altri pensatori ben intenzionati, lo spirito di questo tempo ha dovuto lavorare molto in fretta e in modo efficiente per coprire ciò che Jung aveva voluto dire. Infatti è essenziale ricordare che l’entità alla quale decise di riferirsi come spirito del nostro tempo non è solo ossessionata e affascinata da tutte le superficialità triviali della vita. Solo pensare le cose in questi termini non potrebbe essere più sbagliato. Al contrario, non c’è niente che a questo spirito piaccia più di intrattenersi con ciò che non comprende – poi giocherellare e armeggiare e interferire con la saggezza del profondo, razionalizzandola subdolamente e impercettibilmente, facendone abilmente un disastro presentandola con grande prosperità come qualcosa di suo.
(…) Proprio alla fine del capitolo più centrale e cruciale chiamato “A confronto con l’inconscio”, Jung appare in grande stile come eroe delle profondità: l’eroe la cui intera vita è stata trasformata quando è riuscito, più o meno con successo, a lavorare sul caos dell’inconscio e contro scenari travolgenti, trasformandolo in immagini e una forma che poteva presentare al mondo contemporaneo. Naturalmente un ruolo così eroico è qualcosa che Jung si diletta a interpretare quando la sua personalità n. 1 prende il sopravvento. E il mito di lui che si sforza coraggiosamente con la sua “mente ordinatrice” di far penetrare in questo caos inconscio una parte cosciente – trasmettendo l’idea conosciuta del potere dell’inconscio come incredibilmente distruttivo che deve essere lavorato ma padroneggiato, organizzato, diretto – è centrale per quasi ogni apprezzamento del suo lavoro.
C’è solo un problema. Quel giorno a Bollingen, quello che diceva non avrebbe potuto essere più diverso.
Comincia – non finisce – con un commento sul suo sforzo più o meno riuscito di imporre un certo ordine al materiale ribollente che esce dall’inconscio; paragona le sue visioni e i suoi sogni iniziali al flusso di lava incandescente che, dopo un po’, si trasforma in pietra solida in modo da poter essere lavorata.
Ma solo ora ci spiega il significato verso cui conducevano i suoi pensieri e i suoi commenti:
”È stata la passione e l’intensità all’interno di questo fuoco, è stata la corrente di lava stessa che ha costretto a realizzare ciò che è accaduto. E così, in modo del tutto naturale, tutto è andato al suo posto e nel suo ordine”. (da notare come Jung dà alla “lava” – e non ad altro come ci vogliono fare credere molti – il merito della realizzazione di tutto questo compreso l’ordine con cui tutto si è sistemato)
Le parole di Jung si muovono. In questo giorno particolare lo stavano portando verso il riconoscimento pubblico di come l’inconscio si prende cura di tutto. Possiamo stare in ansia per il disordine; avere la mente impegnata ad imporre un po’ d’ordine su di esso. E la realtà è che le forze inconsce di cui abbiamo tanta paura sono esse stesse, paradossalmente, misteriosamente, le vere creatrici dell’ordine.
Ma per la segretaria di Jung, Aniela Jaffè, tutto questo andava nella direzione sbagliata. Stava scrivendo una biografia, quasi un’autobiografia – e nella sua encomiabile devozione si impose di mantenere tutti concentrati sulle virtù del grande uomo stesso, non sulle virtù di un inconscio innominabile.
Quasi come se avesse intuito che non tutti avrebbero capito quello che aveva cercato di dire sul flusso di lava che si occupava di tutto, Jung va dritto al punto di ripetersi in termini ancora più semplici e schietti.
L’unico studioso che per anni ha potuto studiare queste interviste inedite in modo indipendente, e in modo molto più dettagliato di chiunque altro, ha deciso di rendere disponibile una traduzione di questo stesso brano. E qui, parola per parola, c’è la sua versione di ciò che Jung e la torre di Bollingen hanno continuato a dire:
“Volevo realizzare qualcosa nella mia scienza e poi sono stato immerso in questo flusso di lava, e poi ho dovuto classificare tutto”.
Il problema è che, anche qui, Jung non ha detto nulla del genere. Quello che ha detto in realtà era molto diverso:
“Volevo ottenere qualcosa nella mia scienza, e poi mi sono imbattuto in questo flusso di lava, e poi ha messo tutto in ordine”
Ecco forse la verità più vicina a Jung da vecchio su ciò che, nella sua vita, era veramente.
La scienza che aveva cercato di rivendicare, ispirandosi a tutto il suo affascinante dilettantismo e alla sua teatralità amatoriale, da sola non è servita a nulla. Non ha fatto altro che metterlo faccia a faccia con qualcosa di infinitamente più grande e più potente di lui. E, da quel momento in poi, quel potere ha organizzato e guidato ogni cosa.
È risaputo che, a prescindere da tutti i suoi avvertimenti e le sue cautele sui pericoli, tutta la parola di Jung si basa sul suo profondo rispetto per la saggezza contenuta nel nostro inconscio.
Il fatto è, tuttavia, che non è mai stato o sarà mai una questione di ciò che qualcuno conosce intellettualmente. Possiamo capire tutto meravigliosamente a livello di teoria; di principio. Ma non è questo il punto. Il punto è osservare come anche le persone più vicine a Jung insieme al più brillante e scientifico degli esperti junghiani lo cambiano; lo riscrivono, lo mettono a tacere.
E anche noi potremmo avere le conoscenze più brillanti nascoste in qualche cassetto del nostro cervello teorico. Ma l’unica cosa che conta è ciò che ognuno di noi fa in ogni momento con ogni suo pensiero, ogni suo respiro. Tutto ciò che conta è se possiamo stare consapevolmente con il mistero dell’inconscio, aiutandolo nella sua saggezza a organizzare e ordinare le cose, o se usiamo la nostra saggezza accumulata per interferire.
(Peter Kingsley)
FINE.

grazie per l’articolo molto interessante. esiste una versione in lingua italiana del libro di Kingsley?